Vicenza, 9 giugno 2022 – Condanna per maltrattamenti passata in giudicato e sospesa, obbligo di allontanamento dall’ex moglie revocato: Zlatan Vasiljevic, che ha ucciso Lidjia Miljcovic e Gabriela Serrano prima di togliersi la vita, “non aveva alcun obbligo, non c'erano misure cautelari” in corso. Nei confronti della giustizia, aveva però un secondo procedimento penale in fase di dibattimento, sempre per lo stesso reato, ma l’udienza era stata aggiornata per una modifica al capi di imputazione.
La lunga storia giudiziaria del killer, cosa sappiamo:
- “Ci vuole una rete di protezione virtuosa”
- Il primo processo: condanna sospesa
- Il secondo procedimento: ancora in corso
- Misura di protezione? “Da sola non basta”
- Zaia: "Stanziati 3,3 milioni contro la violenza sulle donne"
“Ci vuole una rete di protezione virtuosa”
Dopo aver scontato due anni di carcere per maltrattamenti in famiglia e aver seguito un percorso di riabilitazione per uomini violenti in una comunità di recupero di Bassano del Grappa, il 42enne bosniaco aveva anche ottenuto dei benefici rispetto alla pena scontata in carcere, da cui è uscito nell’estate del 2021.
La storia giudiziaria di Zlatan Vasiljevic, il bosniaco che ieri ha ucciso l'ex moglie e l'ultima compagna, con la quale era in crisi, prima di suicidarsi, insegna che “ci vuole una rete di protezione con una filiera virtuosa”. A dirlo è il presidente del Tribunale di Vicenza, Alberto Rizzo, ricostruendo l'iter nelle aule di giustizia che ha portato al doppio femminicidio di ieri e al suicidio dell'autore del massacro delle due donne.
Il primo processo: condanna sospesa
Rizzo ripercorre le denunce ripetute di maltrattamenti fatte dall'ex moglie dell'assassino, che avevano dato luogo a due procedimenti giudiziari. “È tutto ancora in corso di accertamento perché ci manca qualche elemento, però quello che emerge in questo momento – sottolinea il presidente del tribunale di Vicenza – è che lui è stato raggiunto da due procedimenti penali, uno definito con una condanna in primo grado ad un anno e sei mesi, ridotta in Appello. Il Tribunale ha applicato una misura cautelare, coercitiva, attenuata poi nel corso del procedimento perché questa persona ha seguito un percorso di recupero”.
“Mi dicono che in Corte d'Appello la misura dell'allontanamento è stata revocata. La misura cautelare ha una durata definita – spiega Rizzo – oltre la quale cessano naturalmente i suoi effetti”. Rizzo sottolinea che “la pena è stata sospesa in Corte d'Appello, non so per quale motivo. In ogni caso la sospensione della pena determina il venir meno dell'esigenza cautelare”.
Il secondo procedimento: ancora in corso
“C'era un altro procedimento in corso di celebrazione ed era stato aggiornato per una modifica del capo di imputazione. Quindi i procedimenti penali erano due, uno definito con misura cautelare - riassume - e uno in corso”. In questo momento dunque Vasiljevic “non aveva alcun obbligo di non avvicinamento alla moglie, perché aveva definito un procedimento, con una condanna passata il giudicato con pena sospesa dalla Corte d'Appello, e per quanto riguarda noi (il Tribunale di primo grado, ndr) – precisa – c'era un procedimento penale ordinario, a dibattimento”. Quindi, “non c'erano misure cautelari nei confronti del bosniaco: quando sono state richieste – rileva Rizzo - sono state applicate”.
Misura di protezione? “Da sola non basta”
Quanto accaduto ieri a Vicenza, porta il presidente del tribunale ad una riflessione più generale. “Può il sistema penale o quello giudiziario impedire in assoluto il verificarsi di fenomeni drammatici come quello accaduto? O si deve intervenire, come io penso, in termini di prevenzione, con il coinvolgimento contributivo di diversi soggetti che devono parlarsi e fare rete anche nel settore del codice rosso?”, si chiede Rizzo. Per Rizzo “la sola misura penale o parapenale, penso all'ordine di protezione che viene adottato con il 441 bis del codice civile che io applico spesso quando la parte ricorrente nell'ambito di una separazione mi rappresenta di essere oggetto di vessazioni o minacce, è solo un ordine di allontanamento e di non avvicinamento. Ma se poi l'ordine non viene rispettato, vuol dire che la misura di per sé contiene il rischio, ma non lo neutralizza”.
La sintesi, per il presidente del tribunale di Vicenza, è che “purtroppo non possiamo pensare a misure cautelare permanenti, il sistema deve dare una risposta di ampio respiro e che coinvolga diversi interlocutori, l'autorità giudiziaria, il coordinamento dei Prefetti, l'autorità di pubblica sicurezza, le forze di Polizia, i comuni e i servizi sociali”. E aggiunge: “Pensare che sia l'autorità giudiziaria, da sola, a neutralizzare il rischio è un’illusione”.
Zaia: "Stanziati 3,3 milioni contro la violenza sulle donne"
“La brutalità, come nel caso di Vicenza, lascia sempre sgomenti, ma lo sgomento, dopo le parole, deve trovare risposta nei fatti. È questa la scelta che abbiamo operato in Veneto, approvando, tra aprile e maggio, un Piano Anti-violenza sulle donne dotato di 3,3 milioni di euro di finanziamenti e una vasta e articolata rete di assistenza e difesa, sparsa sul territorio”. Lo dice il presidente del Veneto, Luca Zaia, tornando sul duplice femminicidio di Vicenza. Proprio oggi l'assessore regionale al sociale, Manuela Lanzarin, ha presenta in Consiglio regionale una relazione sulle attività messe in atto l'anno scorso.
“Occorre difendere le donne – prosegue Zaia – e formare, anche se pare impossibile nel terzo millennio, una reale cultura del rispetto della donna, partendo dai ragazzi e, nel frattempo, garantire un porto sicuro alle ragazze e alle madri vittime di violenza che, purtroppo, accade in gran parte tra le mura familiari o all'interno di rapporti di coppia. Con le nostre decisioni intendiamo attuare azioni che possano incidere profondamente sul presente e sul futuro di tante ragazze, donne, madri, mogli, che si trovano a vivere un'esperienza devastante”.