MARIA SILVIA CABRI
Vivere Sassuolo

Ottani e il mondo attraverso un obiettivo : "Io e la fotografia, un amore nato in Eritrea"

Dalla Bosnia a Chernobyl, dallo Sri Lanka colpito dallo tsunami a Beslan, le sue foto diventate memorabili: "Non lo avrei mai detto"

Dalla Bosnia a Chernobyl, dallo Sri Lanka colpito dallo tsunami a Beslan, le sue foto diventate memorabili: "Non lo avrei mai detto"

Dalla Bosnia a Chernobyl, dallo Sri Lanka colpito dallo tsunami a Beslan, le sue foto diventate memorabili: "Non lo avrei mai detto"

Entrare nell’universo del fotografo Luigi Ottani è come immergersi in un lungo viaggio che spazia dai più lontani luoghi geografici a quelli vicini a casa nostra, tra cui la stessa Sassuolo. Residente a Formigine e fortemente legato a queste zone, nel raccontare il suo ‘lavoro’ – termine riduttivo per indicare quello che lui riesce a realizzare con una macchina fotografica in mano – Ottani coinvolge, trasporta, fa emozionare. I suoi scatti sono stati pubblicati sulle maggiori testate e ha la straordinaria capacità di alternare ricerche sui microcosmi italiani a racconti di reportage internazionale. Con numerose pubblicazioni e mostre ha raccontato temi sociali del mondo contemporaneo: la povertà del Sahel in Eritrea, la vita nei campi profughi Saharawi, il dopoguerra in Bosnia, la piaga della prostituzione minorile in Cambogia, lo Sri Lanka colpito dallo Tsunami, il dramma della convivenza israeliano-palestinese, la vita nella ‘zona morta’ a Chernobyl, la difficile realtà di alcuni quartieri urbani italiani, le minoranze etniche dello Hunan Cinese, il ricordo di Beslan in Ossezia del Nord, il terremoto in Emilia con ‘Magnitudo Emilia’. Con il volume ‘Niet Problema!’ ha vinto il premio ‘Marco Bastianelli’, riconoscimento al miglior libro fotografico italiano edito nel 2006. Nel 2011 ha ricevuto il premio giornalistico ‘Bruno Cucconi’ per la fotografia del progetto ‘Tracce di sport’ di Andrea Zorzi. Attualmente collabora con organi istituzionali, agenzie di comunicazione e aziende, e, ovviamente, continua a immortale sensazioni con la ‘meccanica’ dei sentimenti.

Ottani e la fotografia: come nasce questo binomio magico? "A trasmettermi la passione per la fotografia è stato mio padre: lui fotografava e a 10 anni avevo già in mano una reflex, ma erano più scatti delle vacanze, di qualche evento. Mai avrei immaginato che ‘da grande’ sarei diventato un fotografo. Ho infatti studiato al Fermi a Modena e per venti anni ho lavorato nel campo dell’elettronica, automazione, robotica".

Però la passione restava…

"Sì. Quando avevo vent’anni stampavo in bianco e nero alcune immagini, aiutavo qualche amico che faceva i servizi ai matrimoni. Il filo non si è mai spezzato…".

Quando c’è stato lo ‘scatto’ definitivo?

"Nel 2000, a 35 anni, in un momento particolare della mia vita, ho iniziato a lavorare con alcune associazioni che portavano aiuto nei paesi in difficoltà. Con ‘Rock no War’ sono andato in Eritrea: qualcosa è scattato in me, ho capito che leggere le situazioni che vedevo e raccontarle con la macchina fotografica mi era entrato dentro. Ho continuato a viaggiare con le associazioni che andavano sui luoghi, Bosnia, Cernobyl, Sri Lanka dieci giorni dopo lo Tsunami vivendo le realtà non da ‘turista’ ma con uno sguardo vicino a quelle persone. Nel 2005 ho lasciato il mio lavoro e mi concentro solo sulla fotografia, ovviamente alternando ai reportage ‘sociali’, di ricerca e narrazione, un’attività più ‘istituzionale’ per aziende importanti, company profile, siti".

Passa con naturalezza dai reportage sulla Palestina a quelli su quartieri cittadini, come il Braida a Sassuolo o Zona Tempio a Modena. Come sono nate queste esperienze ‘locali’? "Il quartiere Braida di Sassuolo è sempre stato descritto stile bronx dai media, ma in realtà ha tante sfaccettature. È quello che, Giulia Bondi con i testi e io con le immagini, abbiamo voluto raccontare nel testo ‘Io sono di Braida. Storie sincere di un quartiere discusso’ (Edizioni Artestampa, 2008, con prefazione di don Ciotti), dopo un progetto lungo un anno trascorso tra le varie realtà di quel quartiere, incontrando bambini, ragazzi e ragazze, donne e uomini, pensionati e immigrati. Sempre insieme, come suburb-reporter, e con sorridente indifferenza verso ogni pregiudizio, abbiamo realizzato lo stesso progetto su Modena, con il testo ‘Zona Tempio. Storie a Colori’".

Guerra, esodi: dal 2015 fa coppia con l’artista Roberta Biagiarelli. Come avete affrontato questi drammi?

"Nell’estate del 2015 abbiamo compiuto un viaggio sulla rotta balcanica dei migranti, a fianco delle famiglie di profughi siriani iracheni e afgani, durante l’esodo sulla via dei Balcani. Abbiamo catturato emozioni e attimi di storia in un reportage di opere fotografiche, in bianco e nero, da cui è nata la mostra ‘Scappare la guerra’ tratta dal volume ‘Dal libro dell’esodo’. Nella primavera di quell’anno, invece, avevamo iniziato a lavorare a un progetto su Sarajevo: fotografare la città venticinque anni dopo, dagli stessi luoghi dai quali i cecchini tenevano sotto assedio la città e i suoi abitanti. Ne è nato ‘Shooting in Sarajevo’, che è stata esposta anche a Sassuolo durante il festivalfisolofia del 2021".

Cosa le lasciano questi viaggi in terre martoriate?

"Nonostante quello che si potrebbe pensare, solo ricordi positivi. Ho nella mente tutti i volti che ho fotografato. Io opero da vicino, non uso il teleobiettivo, chiedo il permesso, non rubo gli scatti. Con la persona che ho di fronte si crea una relazione silenziosa immediata con lo sguardo, immortalato per sempre in una frazione di secondo. Con il premio ‘Bastianelli’ è stata riconosciuta la mia ‘onestà intellettuale del racconto’: non costruisco mai nulla, non sposto un oggetto, piuttosto mi sdraio per terra per fotografarlo".

Progetti su Sassuolo?

"Sto realizzando un lavoro a livello urbanistico, tra abbinamenti strani, stile Berlino. Non più solo volti ma anche luoghi, immaginando chi ha attraversato quelle strade, quei quartieri…".