di Lorenzo Tazzari
Paolo Lucchi, già sindaco di Cesena dal 2009 al 2019 e consigliere regionale, è di recente entrato in carica come come presidente di Legacoop Romagna dopo Mario Mazzotti. E oggi guida una realtà che fattura circa 6 miliardi di euro, ha 305 mila soci e 24mila dipendenti.
Presidente, come si è chiuso il 2022 e qual è la previsione per il primo semestre 2023?
"Per molte cooperative il vero anno della ripresa dopo la pandemia è stato il 2021. Il 2022 ci ha riportati con i piedi per terra. La guerra in Ucraina, la crisi energetica, le difficoltà nel reperimento delle materie prime e i rincari hanno creato profonda incertezza. Nessuno fa previsioni oltre i tre mesi, perché si è in attesa. Ciò non significa che noi siamo fermi. Ci sono coop che stanno investendo, cercano personale, ma non lo trovano. Avevamo previsto 2.800 assunzioni nel 2023 e dovremo rivederle, in aumento. Nel 2022, in 9 mesi, abbiamo inserito 500 lavoratori. Ma non bastano".
Quali sono i motivi di questa difficoltà?
"Ci sono studiosi che parlano di ‘melanconia sociale diffusa’. Dalla pandemia a oggi hanno lasciato il lavoro 1,66 milioni di persone. Tutti lavoratori che hanno fatto questa scelta senza sapere quale domani li aspettasse, hanno cambiato totalmente vita. Negli Stati Uniti ogni trimestre si dimettono 4 milioni di persone, in passato si parlava di 1 milione".
Il dito è puntato anche verso salari e stipendi?
"Quelli italiani sono troppo bassi. Negli ultimi 30 anni in Italia il reddito è calato del 2,6%. In Germania e in Francia è aumentato del 30%, dati impressionanti. E’ necessario rinnovare i contratti di categoria scaduti e adeguarli alla media europea. Anche nella cooperazione abbiamo molti lavoratori sottoretribuiti da coop che, svolgendo un servizio pubblico, non sono al momento in grado di pagarli diversamente per via della quota che ricevono dagli Enti pubblici. Il territorio romagnolo deve essere attrattivo per le imprese, ma anche per i lavoratori. E sono molto sensibile al tema della casa".
Ha appena parlato di territorio romagnolo, ma non c’è una ‘voce unica’ che parli a nome delle tre province. E’ così?
"Non c’è ancora un luogo istituzionale che dialoghi all’esterno a nome delle Romagna, questo è il limite. Dobbiamo anche stare attenti a non inebriarci solo dei miliardi di euro del Pnrr. Passato il 2026 o il 2027, tanti problemi saranno ancora lì".
Porto di Ravenna: da solo sta innescando un miliardo di lavori infrastrutturali.
"Credo nello sviluppo dei servizi portuali e che debbano essere collegati con il territorio. Tutti dobbiamo essere consapevoli che il porto rappresenta ormai una delle nostre principali porte d’ingresso verso buona parte d’Italia e d’Europa".