di Nicholas Masetti
La Cesenate Conserve Alimentari è il primo produttore di frutta biologica in Italia ed è socia di maggioranza di Alce Nero, marchio leader nel mercato bio. Una storia che inizia nel 1949, anno della fondazione da parte di Luigi Rossi, a Cesena, nel cuore dell’Emilia-Romagna. Oggi, a distanza di 75 anni dalla costituzione, conta su un fatturato, in proiezione per il 2024, di 57 milioni di euro. Ma ormai La Cesenate ragiona parallelamente ad Alce Nero e Sais Sementi. Il trittico raggiungerà infatti, indicativamente, i 125 milioni di fatturato (nel 2019 erano 115) e conta su oltre 350 addetti, così divisi: 130 a La Cesenate (in forte aumento in estate con i raccolti), 100 su Alce Nero, una cinquantina a Sais e la parte restante nelle aziende agricole associate.
A guidare La Cesenate dal 1988 è Arturo Santini (anche presidente di Alce Nero dal 2018), figura di spicco dell’azienda che ha permesso all’impresa di avviare un percorso di crescita e di internazionalizzazione del brand, passando da realtà produttiva di tipo familiare solida realtà economica. Oggi infatti aumenta ancora il mercato dell’export, soprattutto nell’area dell’Estremo Oriente, in paesi come Giappone, Singapore e Hong Kong. Segno di quanto questo marchio sia importante per il settore agricolo italiano.
"Siamo un’azienda molto integrata perché all’interno dello stesso Gruppo contiamo su una società di sementeria, la Sais, su varie aziende agricole di nostra proprietà e su altre con cui abbiamo rapporti decennali, e poi su La Cesenate, dove ci occupiamo di trasformazione alimentare (con una gamma di prodotti per il mercato retail, industria e food service e baby food), e infine su Alce Nero dove avviene la commercializzazione, il marketing e la comunicazione del prodotto", spiega Santini. Basti dire che tra Romagna e poi anche Toscana, La Cesenate conta su un’estensione terriera di oltre 800 ettari e su aree come Mensa Matellica, Pievesestina, Sant’Egidio e Carpineta nella provincia di Forlì-Cesena, Bizzuno a Ravenna e la società agricola Selvello a Grosseto. Compagini che coltivano mele, pere, pesche, albicocche e susine (i cinque frutteti tipici del centro-nord Italia), ma anche pomodoro, avena, grano e legumi. Il tutto con un Dna biologico: l’attenzione alla salute delle persone e l’attenzione per l’ambiente, caratteristiche che sono sempre state centrali per La Cesenate. "Le superfici delle aziende agricole di nostra proprietà sono per il 98% biologiche. La nostra vocazione è di avere un basso impatto ambientale e un’economia pulita – insiste Santini –. Un processo che va avanti dal 1989, ancora prima che ci fosse una vera e propria normativa in materia (il regolamento europeo ad hoc – ai tempi da parte della Cee – per la produzione biologica infatti è del 1991). Siamo stati quindi tra i precursori in Italia del bio".
Il fatturato a La Cesenate al 60% è derivante dal biologico, mentre Alce Nero è un brand totalmente bio. E il cliente, ancora oggi, riconosce questa tradizione. Così tanto che Alce Nero copre un vasto settore di prodotti, dalla frutta alla verdura, passando per sughi, marmellate, puree, bevande vegetali, succhi, zuppe, pesti, omogeneizzati, pasta, olio e biscotti. Tutti con indicazioni bio, ovvero un metodo di coltivazione caratterizzato dall’impiego esclusivo – anziché di fertilizzanti e antiparassitari chimici di sintesi – di concimi organici e, come pesticidi, di preparazioni naturali, nonché di predatori naturali.
"Con La Cesenate siamo entrati nella compagine sociale di Alce Nero nel 2004 – prosegue Santini – e dal 2019 ne siamo soci assoluti di maggioranza". Ma il mercato del biologico oggi va davvero forte in Italia, paese che con oltre 2 milioni di ettari è leader del settore biologico? Secondo il rapporto Ismea - Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare - nel 2023 il mercato interno dei prodotti biologici raggiunge i 3,88 miliardi di euro, con un incremento del +5,2% in valore sull’anno precedente. "Durante il Covid abbiamo visto un boom dei consumi in casa a discapito della ristorazione. Ma finito il periodo del Covid c’è stato un assestamento e siamo tornati a volumi leggermente ridotti rispetto all’epoca pre-Covid. Ma nell’ultimo anno, invece, i volumi stanno di nuovo ricrescendo", analizza Santini. Anche se la produzione mette sempre più a rischio gli agricoltori. "Quest’anno abbiamo meno mele, mentre nel 2023 ad essere in difficoltà furono le pere. L’agricoltura biologica è molto più sensibile ai cambiamenti climatici perché ci sono meno armi per combattere i problemi e quindi implica più alti e bassi nella produzione", conclude Santini.