Riccardo Cervi è cresciuto insieme alla Pallacanestro Reggiana, accompagnandola dal ritorno in Serie A agli anni della grandezza, sino ad esserne pure il capitano. Anni intensi, che ricorda, dalla Puglia dove oggi vive da imprenditore nell’ambito del turismo, ancora con affetto misto a un po’ di nostalgia.
Cosa significa la Pallacanestro Reggiana per lei?
"Più o meno tutta la mia vita di cestista. Il posto dove ho vissuto miriadi di situazioni e un’altalena di emozioni e prestazioni decisamente incredibile".
Nella sua prima anna la squadra rischia la retrocessione in B…
"All’epoca ero davvero molto giovane, giocavo poco e non avevo un ruolo determinante, quindi l’ho vissuta con maggiore tranquillità rispetto ai compagni, sapendo che, comunque fosse andata, avevo tutta la carriera davanti".
La stagione successiva, 2011/2012, Reggio torna in Serie A.
"Fu un anno molto buono, in cui presi consapevolezza dei miei mezzi e mi resi conto che avrei potuto essere davvero un buon professionista".
E dopo?
"Tre anni di massima serie in crescendo, sia personale che di tutta la squadra. Dove abbiamo conquistato l’Eurochallenge e siamo arrivati in finale scudetto. E’ stato un periodo indimenticabile e anch’io, dopo un primo impatto in cui avvertii il salto di categoria, feci in modo di dare il mio contributo".
Lo fece anche nell’emozionante, ma amarissima, sfida con la Dinamo, dopo dei playoff in precedenza non facilissimi per lei. C’è ancora rimpianto per quella finale?
"Sì, mi capita di pensarci ancora ogni tanto, porca miseria (l’espressione in realtà è ben più colorita, ndr) che occasione che abbiamo avuto di cucirci lo scudetto sul petto, e davvero sprecata per un niente".
La sua migliore stagione in biancorosso?
"Quella del 2016/2017, al ritorno da Avellino, per cifre, statistiche e impatto sulla squadra". Nel 2018/2019 diventa capitano della Pallacanestro Reggiana…
"Un’esperienza importante, arrivata al momento giusto. Purtroppo la stagione non andò benissimo, per una combinazione sbagliata di tanti fattori. Ancora oggi mi dispiace soprattutto per Devis (Cagnardi, ndr) che è stato importantissimo per la mia crescita nel tempo e in quell’annata mi ha sempre dato tantissima fiducia".
Il rapporto con gli altri suoi coach: Menetti e Sacripanti?
"Con Max, nell’arco di diversi anni, ho avuto alti e bassi tecnici, come tutti ricordano, ma lui ha sempre creduto in me e nell’apporto che potevo dare al team, non posso che ringraziarlo. Sacripanti mi aveva scelto nel quadro di un gruppo in cui le mie caratteristiche erano estremamente funzionali, ed è stato uno dei motivi per cui, in Irpinia, feci un’ottima stagione".
Veniamo al presente, cosa pensa dell’Unahotels di oggi?
"E’ una squadra a forte trazione americana, quindi sarà importante che si crei subito una buona amalgama, che è la chiave principale per provare a ripetere l’ottimo percorso dell’anno scorso. Molto positivo avere confermato il gruppo degli italiani e sono particolarmente contento che sia rimasto Faye, la sua grande crescita è un modello per tutti i giovani che si avvicinano al basket".
Che campionato sarà?
"Molto equilibrato. Accanto ai due giganti, Milano e Bologna, stanno arrivando realtà emergenti come Trapani, Tortona e Trieste, che danno al campionato un’aria decisamente frizzante, positiva per tutto il movimento".
A proposito di questo: la Pallacanestro Reggiana quest’anno ha festeggiato i 50 anni di vita…
"La società, in sé, è un’entità astratta. Sono le persone, la comunità di appassionati, i reggiani, che devono farsi i complimenti a vicenda; tutti quelli che, in mezzo secolo hanno reso viva la Pallacanestro Reggiana: i fondatori, i proprietari che si sono succeduti, dirigenti, sponsor, dipendenti, giocatori. La sinergia tra le persone ha permesso tutto questo".
Cervi, quanto le manca il basket?
"Mi mancano gli anni in cui fisicamente stavo bene, il clima dello spogliatoio, il rapporto coi compagni e la passione dei reggiani. Gli ultimi periodi, in cui era più il disagio dato dal dolore alle ginocchia che il piacere di stare in campo, mi mancano molto meno".