VITTORIO BELLAGAMBA
Sostenibilità

La sfida del digitale: "Così la tecnologia può migliorare la bovinicoltura"

Il professor Pulina è tra i firmatari del manifesto Smart meat 2030 "Nel nostro Paese è necessario mantenere una filiera strategica. Ma il settore va ammodernato e reso più appetibile per i giovani".

La sfida del digitale: "Così la tecnologia può migliorare la bovinicoltura"

La sfida del digitale: "Così la tecnologia può migliorare la bovinicoltura"

La tecnologia digitale costituisce un pilastro ineludibile per lo sviluppo delle filiere delle carni, in quanto offre strumenti avanzati che permettono di monitorare il benessere animale in allevamento, l’efficienza operativa, di aumentare la produttività e di garantire standard qualitativi elevati. Il professore Giuseppe Pulina, docente ordinario di etica e sostenibilità degli allevamenti e presidente dell’associazione Carni sostenibili, è uno dei firmatari del manifesto Smart meat 2030 – Sustainable management and advanced responsible technologies for meat ecosystems and agri-food tracking. Il manifesto è articolato in dieci punti, che vanno dalla valorizzazione della tecnologia digitale e della sostenibilità digitale come pilastri delle filiere di produzione della carne alla necessità di infrastrutture, competenze e formazione, passando per la sicurezza informatica e il ruolo strategico delle istituzioni. Il manifesto è stato lanciato in occasione della presentazione del rapporto "La transizione digitale delle filiere italiane della carne", realizzato dalla Fondazione per la sostenibilità digitale. Secondo i dati in esso contenuti, l’Italia è oggi il quinto produttore di carni (bovine, suine, ovi-caprine e pollame) in Europa. Davanti a noi ci sono la Germania, la Spagna, la Francia, la Polonia. Tra questi cinque Paesi, siamo gli unici a vantare un deficit – siamo cioè costretti a importare più carne di quella che esportiamo – e questo è particolarmente vero per quanto riguarda la carne bovina. Meno della metà di quella che consumiamo è prodotta in Italia. Il 40% del territorio italiano è un paesaggio zootecnico e due terzi di questo paesaggio sono un paesaggio bovino, in cui il bovino ha forgiato gli elementi costitutivi sia naturali, sia determinati dalla mano dell’uomo sul territorio. L’allevamento dei bovini resta uno dei grandi pilastri dell’agroalimentare italiano, nonostante sia in lenta contrazione da ormai molti anni. Anche in questo settore, però, la digitalizzazione si appresta a portare significativi cambiamenti sia sul fronte dell’efficienza che su quello della sostenibilità. "L’Italia vanta una grandissima tradizione nella cultura del bovino, che affonda le sue radici addirittura nel Paleolitico, come testimoniano numerose incisioni rupestri – dice il prof Pulina –. In Italia ne abbiamo un esempio nella grotta del Romito, in provincia di Cosenza, dove ci sono bellissime rappresentazioni rupestri del bovino che risalgono a 24-25mila anni fa". "Ma siamo pesantemente deficitari – precisa –, a fronte di un consumo di circa 16 chilogrammi di carne bovina a testa all’anno, anche meno degli anni sessanta, per capirci. Tuttavia, anche questa quantità così risicata di carne bovina consumata, purtroppo, è prodotta per meno della metà in Italia e questo ci crea alcuni problemi di sistema. Il primo problema è che dobbiamo importare carne dall’estero e possiamo dire con certezza, senza tema di essere smentiti, che siamo una delle aree del mondo in cui produciamo la carne con minori impatti in assoluto. Per questo dobbiamo mantenere una filiera strategica in Italia, possibilmente aumentando anche il grado di auto-approvvigionamento. E poi ci sono i temi di governo del territorio in campo paesaggistico, dell’abbandono che crea dissesti idrogeologici e dello spopolamento nelle aree rurali. Infatti, oltre ad avere creato ricchezza e contribuito al successo dell’agroalimentare italiano, la bovinicoltura ha forgiato il territorio nazionale e lo ha reso estremamente ricco per quel che riguarda la biodiversità. Oggi abbiamo la possibilità di ammodernare il settore grazie agli strumenti digitali e renderlo appetibile anche per i giovani, per un mestiere che forse è più antico degli italiani, che tra l’altro devono il loro nome proprio al fatto che allevavano i bovini, è questo il nome Italia e ‘italiani’, che deriva proprio da ‘italiani allevatori di vitelli’. Questo ce lo dice molto bene il nostro poeta Giovanni Pascoli, che nella prolusione del 1911 per il cinquantenario del Regno d’Italia, disse bene che il nome di Italia derivava proprio da ‘allevatori di vitelli’, per cui molto probabilmente questo è il più antico lavoro che facevamo noi come popolazioni che abitiamo questa nazione". Il prof Pulina fa anche notare come le aziende agrarie producano molte informazioni, che vanno però disperse per la quasi totalità. "La sfida – dice – è di utilizzare queste informazioni per aumentare l’efficienza produttiva, riprogrammando i sistemi in chiave digitale e perseguendo l’intensificazione intelligente dei sistemi agro-zootecnici. Siamo agli albori di una nuova rivoluzione, quella della trasformazione digitale. Se prima, a partire dagli anni duemila, gli aumenti produttivi erano generati per due terzi dalle informazioni e per un terzo dagli input di acque, di terre e energie, oggi possiamo ambire a una super sostenibilità, nella quale gli aumenti produttivi sono generati solo dalle informazioni e allo stesso tempo si consegue una riduzione degli input. In termini termodinamici: il sistema produce di più, ma consumando di meno".