Baroncini
Una recente indagine di Nomisma mette fra i principali problemi dei cittadini, dopo i disservizi in sanità, il dissesto idrogeologico, seguito dal livello di smog e dall’inquinamento. Poi fra i ‘nodi‘ fondamentali spuntano anche il consumo di suolo e lo sviluppo economico. Tutti temi che si collegano alla tutela dell’ambiente, al cambiamento climatico, alla cura che l’uomo mette (dovrebbe mettere) per salvare ciò che lo circonda, in una parola: agricoltura.
Spesso dimenticata, ritenuta ancillare, relegata tragicamente a conversazioni di folklore in occasione di proteste, l’agricoltura non è solo motore economico e sistema primario di tenuta del territorio, è lo specchio della nostra civiltà. Un podcast che vi consiglio di Vincenzo Venuto e Telmo Pievani, ‘Il gorilla ce l’ha piccolo’, nell’ultima stagione parla proprio della domesticazione delle piante e degli animali, una tappa fondamentale nella storia dell’evoluzione umana e del nostro pianeta: tredicimila anni di storia dell’umanità, dal periodo dei cacciatori-raccoglitori fino all’era dell’agricoltura e dell’allevamento, che ha permesso all’uomo di diventare quello che è oggi.
Senza agricoltura non ci sarebbe stata evoluzione e questa è una lezione che va tenuta a mente. Figuriamoci, dunque, se non ci fosse un’adeguata valorizzazione della trasformazione dei prodotti agricoli e non solo. In questi giorni si torna a parlare della cucina italiana, definita dal ministro Francesco Lollobrigida "la nostra principale ambasciatrice" e credo non si parli abbastanza del percorso per arrivare a riconoscere la cucina italiana come patrimonio immateriale dell’Unesco. "Un mondo che vede l’Italia fare sistema è la vera sfida che dobbiamo saper interpretare. Indossare la maglia azzurra al di là degli schieramenti politici", ha detto il ministro. La tradizione, la biodiversità, la sostenibilità, i prodotti di eccellenza Dop/Igp che la cucina italiana offre al mondo sono solo parte di un insieme di pratiche sociali, abitudini e gestualità che portano a considerare la preparazione e il consumo del pasto come momento di condivisione e incontro.
Come ha scritto in un bel saggio (‘Il cibo è cultura,’ 2007) per Laterza il professor Massimo Montanari, "il cibo è cultura quando si produce, perché l’uomo non utilizza solo ciò che trova in natura (come fanno tutte le altre specie animali) ma ambisce anche a creare il proprio cibo, sovrapponendo l’attività di produzione a quella di predazione. Il cibo è cultura quando si prepara, perché, una volta acquisiti i prodotti base della sua alimentazione, l’uomo li trasforma mediante l’uso del fuoco e un’elaborata tecnologia che si esprime nelle pratiche di cucina". Il cibo è cultura sempre.
Dunque, attestata l’importanza dell’agricoltura e pure quella della cucina e dell’industria che trasforma i prodotti, resta da interrogarci sulle condizioni in cui si lavora nel settore. E la cronaca di questi giorni, dopo l’atroce morte di Satnam Singh, richiama a un concetto minimo che davamo per scontato e forse scontato non è: il lavoro sicuro e dignitoso. Sicuro, perché non si può morire di lavoro. E dignitoso, perché non ci sono lavoratori di serie a e serie b. Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale, recita la nostra Costituzione. Un articolo, il terzo, spesso dimenticato proprio nel suo incipit. Mai errore potrebbe essere più dannoso.