Sono uno dei tanti proprietari di una abitazione (circa 37 mq) censita come “seconda casa” e situata in uno dei lidi Comacchiesi. Purtroppo in Italia sembra essere una colpa: sei percepito come “ricco”. In realtà, oltre le mega ville in Costa Smeralda o a Cortina, esiste una miriade di abitazioni di piccole dimensioni e frutto solo di sacrifici, risparmi di una vita, investimenti spesso di pensionati, poiché credevano ancora nel mattone vista la difficoltà di investire nel nostro Paese. Nel corso degli anni le condizioni però sono peggiorate, arrivando ad essere una vera e propria servitù medievale, con imposte e tariffe deliberate dai Comuni, senza alcuna possibilità di partecipare alla loro determinazione, nascondendosi dietro lo scudo della “non residenza”. A questo punto noi proprietari di seconde case contestiamo le eccessive tasse, molto superiori a quelle previste per i residenti, benchè le nostre abitazioni siano usate solo pochi mesi l’anno. Inoltre a questa eccessiva tassazione non sempre corrisponde in tutte le località turistiche una adeguata erogazione di servizi. Tutto ciò viene da noi percepito come una vera e propria “discriminazione” seppur “legale”. Pertanto mi chiedo: “perché noi proprietari di seconde case non abbiamo il diritto di partecipare all’amministrazione del territorio dove viviamo per alcuni mesi, ma dobbiamo pagare imposte e tariffe maggiorate e per l’intero anno? Eppure nel 1775 in Virginia (USA) per sancire l’illegittimità delle tasse nelle situazioni in cui mancava la rappresentanza parlamentare dei cittadini si diceva: “no taxation without representation”. Quindi perché non aprire un aprire un dibattito anche sui problemi legati alle seconde case? Sono in ogni caso fonte di lavoro (manutenzioni, migliorie, acquisti di prodotti, spese per divertimenti, ristoranti, gelaterie ecc.) e perciò incidono positivamente sulla economia delle varie località turistiche italiane. Luisa Mattioli, Bologna
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