Ridurre le emissioni, gli effetti e i danni dei cambiamenti climatici e perseguire la neutralità carbonica prima del 2050. L’Emilia-Romagna si conferma in prima linea nella tutela dell’ambiente, ben consapevole degli effetti dei cambiamenti climatici su persone e attività.
La regione, come le altre del Nord Italia, sta lottando ormai da due anni contro gli effetti della siccità che si ripercuotono gravemente soprattutto sull’agricoltura. I livelli del Po sono infatti sempre più bassi e la preoccupazione è notevole anche per l’approvigionamento delle attività produttive e delle utenze civili. L’Unione Europea ha identificato la riduzione delle emissioni climalteranti del 55% entro il 2030 rispetto al 1990, che anche la Regione assume quale proprio target intermedio. Un progetto tanto impegnativo quanto necessario per la Pianura Padana che rappresenta l’area a maggior concentrazione produttiva e manifatturiera d’Italia, ma anche quella più esposta sul piano ambientale, a partire naturalmente dalla qualità dell’aria. Particolare attenzione agli interventi di prevenzione del dissesto idrogeologico come alla gestione sostenibile delle foreste attraverso l’attuazione del Piano Forestale Regionale, che ha inteso scrivere un nuovo modello in grado di corrispondere a politiche multiobiettivo, nel segno della gestione sostenibile e per la conservazione della biodiversità.Impegno anche per il rinnovo del Piano di previsione, prevenzione e lotta agli incendi boschivi, in stretta collaborazione con i diversi soggetti coinvolti nel sistema regionale antincendio boschivo, nonché in sinergia con tutti gli attori della filiera per una corretta gestione e per la promozione di misure di prevenzione.
La serie storica (1990-2018) delle emissioni di CO2 equivalente in Emilia-Romagna mostra un andamento altalenante, evidenziando un peggioramento dal 1990 al 2005 per poi diminuire nel decennio successivo. Dal 2015 al 2018 si assiste a una ulteriore inversione di tendenza che porta le emissioni regionali ad aumentare del 3,7% in due anni. Nel 2018, ultimo dato disponibile, si riscontra un decremento del 28,8% rispetto al 2005 e del 5,9% rispetto al 1990. Il tasso di riduzione delle emissioni osservato nel lungo periodo indica la necessità di una accelerazione nelle politiche di decarbonizzazione per il raggiungimento di una riduzione del 55% entro il 2030.
Insomma, occorre serrare i ranghi.
Lo stato di siccità che interessa il Nord Italia, non risparmia anche le Marche che punta al miglioramento delle infrastrutture "fondamentale per ridurre significativamente gli sprechi idrici e favorirne il risparmio negli usi, sia d’impresa che residenziali e terziari". Così come diventa importante la realizzazione di sistemi di accumulo e riuso delle acque meteoriche specializzandosi in colture che necessitano di meno acqua.
Lungo il Po, ad ogni modo, gli indicatori emersi nel corso della seduta dell’Osservatorio permanente sugli utilizzi idrici che si è tenuta a Parma, all’Autorità distrettuale del fiume Po, non sono incentrati all’ottimismo. Ma "quel che più preoccupa – scrivono dall’Autorità – è che i dati più aggiornati risultano talvolta peggiori, se comparati a quelli del 2022". Entrando nel dettaglio del bollettino, "si vede che marzo è stato caratterizzato da temperature superiori ai valori di riferimento, in particolare sulle aree a Nord del Po e con situazioni di chiara sofferenza sul basso Piemonte e sulla Romagna". Le portate hanno registrato valori di media mensile "inferiori al minimo storico nel periodo 1991-2020 e confrontabili solo con quelle osservate nel 2022". Le condizioni critiche in tutto il bacino mostrano punte estreme di calo soprattutto a Piacenza, Cremona e Pontelagoscuro, nel ferrarese, dove l’abbassamento dei deflussi ha toccato i deficit più alti ad aprile.