Tenace, e fascinosa, Martina Colombari, calca i palcoscenici teatrali, dove di recente ha debuttato con ‘Fiori d’acciaio’, e la tivù dove è stata protagonista di Pechino Express con il figlio Achille. Una strada sempre più in ascesa e che trova radici in quello spirito che l’ha sempre contraddistinta, e ne ha fatto un’ambasciatrice della riccionesità.
E’ così?
"Non datemi questa responsabilità. Mi fa pacere, ma mi definirei piuttosto una riccionese speciale, che se n’è andata dalla città presto. Se non fossi nata in questa terra forse non sarei arrivata dove sono arrivata, perché tra le doti che mi riconosco ci sono la testardaggine, la tenacia, la voglia di rimettermi sempre in gioco, il cercare nuove sfide, dandomi sempre nuovi obbiettivi. Credo che queste siano tutte caratteristiche del romagnolo, compreso l’atteggiamento dell’accudire che ho verso le persone ed l’umanità in generale".
Cos’ama di Riccione?
"Mi piace dire che è un po’ come me. Cresciuta dal niente è diventata grande. Nel senso che anch’io ho iniziato la mia carriera a 16 anni e dal non essere nessuno sono arrivata a quello che sono oggi a 48 anni. Riccione ha dovuto inventarsi e costruirsi, non poteva contare su tante cose, non ha mai mollato, attraverso gli stabilimenti balneari, la ristorazione e gli alberghi è diventata una località balneare che fa concorrenza ai grandi lidi. Siamo stati bravi a inventarci e a fare della nostra città la Miami romagnola".
Lei scrive che l’aria di Riccione è una meraviglia.
"Il mare ha questo grande effetto: purifica e rigenera. Il suo odore è speciale, ha un profumo che respiro a grandi polmoni. Non è solo il profumo di casa, ma un profumo che rinvigorisce. I miei genitori, mia nonna e i miei cugini vivono qui. La famiglia è importante, è una risorsa, è accoglienza e ristoro, è cuore. Quando sono a casa mi piace farmi coccolare".
Quando le viene nostalgia a quali ricordi si aggrappa?
"A quando mia madre mi veniva a prendere a scuola con i panini e la sacca dei giochi per la spiaggia, a partire da Pasqua i miei pomeriggi erano al mare. Noi riccionesi i compiti li facevano sotto l’ombrellone, dove si mangiava per tornare a casa la sera alle sette. Accadeva da aprile a ottobre".
Tanto innamorata della spiaggia da aver aperto uno stabilimento balneare.
"Il Kiki Beach, le zone 29, 30 e 31. Siamo quattro soci, è bello mettere un pezzettino di te anche nella tua terra, sentirmi a casa anche in spiaggia".
Se avessi una bacchetta magica cosa farebbe per Riccione?
"Cercherei di renderla un po’ più ecosostenibile. Porterei più energia dalle onde, più piste ciclabili e qualche altro parco per i bambini. Creerei qualche centro di accoglienza in più per chi non ha possibilità".
Con suo figlio Achille è reduce da Pechino Express. Cosa le ha lasciato questa esperienza?
"E’ stata unica, estremamente faticosa ma speciale. Prima di tutto perché ero con mio figlio, quando mi capiterà ancora di stare fuori un mese con lui? Poi perché ci ha fatto vivere in condizioni che chi è nato in altre parti del mondo non conosce. Lo stare senza casa, cibo, soldi, auto e telefono per un lungo periodo è un esperienza che fa intuire cos’è l’essenziale e la capacità dell’essere umano di adattarsi. Perché si può contare solo sul prossimo. La collettività, l’umanità, l’altruismo e la connessione tra le persone sono estremamente importanti, ce l’ha insegnato la pandemia".
Cosa le è rimasto più impresso?
"A Mumbai gli slum che avevo già visto ad Haiti, ma che là sono enormi, delle città a forma di slum. E poi i grandi contrasti perché i colori di povertà e ricchezza, per cui gli estremi ti vengono sbattuti in faccia".
Che effetto ha fatto tutto questo ad Achille?
"Non aveva mai fatto missioni di volontariato, né mai visto un paese povero, per cui anche lui è rimasto colpito. Continuava a farmi domande su questo contrasto tra povertà e ricchezza così estremamente connesso. Mi ha colpito il suo spirito di adattamento, nonostante le pietose condizioni igieniche e poco cibo, per non dire niente. Ma aveva l’obiettivo della gara, un fuoco, e quindi andava bene tutto".
Suo marito Billy Costacurta come l’ha presa?
"Abbiamo sofferto perché in questo periodo non ci siamo mai potuti sentire. Ci hanno preso i telefoni il primo giorno di gara per ridarceli alla fine. Era dura perché non siamo mai stati così lontani. Abbiamo avuto una conferma di quanto il nostro amore sia importante e questo è meraviglioso".
Rieccola in teatro.
"Il 7 aprile con altre cinque attrici ho debuttato con ‘Fiori d’acciaio’, commedia corale al femminile che tratta temi di grande attualità, come la sorellanza e la solidarietà tra donne, che si fatica a mettere in atto. Ognuna di noi ha una sua storia dolorosa, ma attraverso l’amicizia ognuna riuscirà a superare le sfide che la vita mette di fronte. Prende spunto da un film degli anni Ottanta con grandi protagonisti, Michela Andreozzi ha curato l’adattamento e Massimiliano Vado la regia. Siamo in tournée tra Marche, Emilia e Friuli Venezia Giulia, poi al teatro Manzoni di Milano e in altre città. In programma c’è poi un altro progetto teatrale che debutterà in autunno".
Continua il suo impegno solidale?
"I progetti e gli aiuti come Fondazione Francesca Rava vanno assolutamente avanti. Da due anni non riusciamo ad andare in missione ad Haiti per l’instabilità politica molto pericolosa, ma i nostri orfanatrofi e i progetti di strada proseguono. Mandiamo con regolarità cibo e procediamo con Women for Haiti per le donne con il tumore al seno, inviando macchinari. Abbiamo creato un bel ponte con l’Ucraina, spediamo medicinali, ospitiamo famiglie ucraine in Italia e mandiamo i loro bambini a scuola nel nostro Paese. I progetti sono tanti anche perché il post Covid ha lasciato tante famiglie in povertà, così abbiamo avviato il programma Sos spesa per chi non se lo può permettere e reparti Covid per mamme positive in ventisette ospedali italiani dove non era possibile partorire".
Nives Concolino