di Luca
Goldoni
Aveva uno strano sorriso che non definirei crudele, ricorda una superstite, Lucia Musolesi, mi sembrava piuttosto che Reder fosse indifferente verso quanto avveniva: era uno strumento di guerra che eseguiva il proprio lavoro; ora le sembra che una fredda macchina da guerra possa chiedere perdono? Che forse le bombe e i cannoni, che hanno dilaniato uomini e città vadano perdonati o condannati?
Ragionando in tal modo, Prosegue Lucia Musolesi, potrebbe sembrare senza senso la stessa pena che Reder sta scontando; e invece si deve osservare che i residuati bellici non vengono lasciati nei campi, possono ancora uccidere, allora li si distrugge o li si disinnesca per renderli inoffensivi: così si è fatto con Reder.
Reder, una macchina che può agire, che si può disinnescare, che non si può perdonare, forse che non si può neppure odiare, perché le cose non si perdonano e non si odiano: il giudizio è spietato, ma la pietà è morta a Marzabotto. È stata massacrata dal maggiore Reder nel settembre del 1944: questo è forse il suo delitto più orrendo, aver commesso atrocità tali da inaridire per sempre, nel cuore degli scampati, quel sentimento ultimo che prima o poi scoppia dentro di noi: appunto la misericordia, la capacità di perdonare, se non di dimenticare.
Forse anche di questo i superstiti di Marzabotto potrebbero accusare il maggiore Reder: ci hai tolto tutto, anche il bene di provare pietà, hai sconvolto la nostra misura umana, anche di questo non ti perdoniamo. Il consiglio comunale si è riunito, ha deciso il modo e i termini di questa penosa consultazione dei superstiti, , di questo doloroso referendum di coscienze che la lettera del maggiore Reder ha provocato.
La rievocazione della strage, l’orrore rigonfiato dai ricordi, gli allucinanti fantasmi di Marzabotto diventano burocrazia. L’ha voluto il maggiore Reder con una domanda di perdono che in realtà è solo una formalità burocratica: un "atto" da allegare alla istanza di grazia. Questo "atto", cioè il perdono ufficiale di Marzabotto, il maggiore Reder non potrà allegarlo: anche se la tristissima Corte di Marzabotto non ha ancora emesso il suo verdetto, già se ne è potuto intuire lo spirito attraverso le lettere giunte ai giornali, le interviste ai superstiti, attraverso la stessa atmosfera di questo consiglio comunale: non ci sono state parole crudeli ma ferme, non c’è stata retorica ma consapevole responsabilità. Marzabotto non crede al rimorso e al pentimento di Reder perché li giudica tardivi e interessati, Marzabotto non si oppone alla liberazione di Reder, purché si rinunci a questa farsa del perdono.
Una durezza che credo nessuno abbia il diritto di giudicare: nessuno, all’infuori di chi ha perduto la madre il padre un fratello o l’intera famiglia nell’orrore di Marzabotto può dire se Reder dev’essere perdonato o no. Nessuno può pretendere (come si fa in tribunale in attesa di una sentenza di una corte d’assise) di mettersi nei panni dei "giudici" di Marzabotto e di pensare come si comporterebbe al loro posto: perché nessuno può tentare di immaginare o di ricostruire l’indicibile tragedia che essi hanno vissuto.
Abbiamo sempre rispettato il dolore di Marzabotto e dobbiamo rispettare ora la fermezza che nasce da questo dolore. E se ci tormenta il pensiero della vecchia madre che vuol rivedere il figlio prima di morire – se ci tormenta questo pensiero che certamente ha tormentato e tormenterà i "no" di Marzabotto – dobbiamo pensare a un’altra cosa: che in Germania non c’è solo questa povera donna, povera come tutte le madri di qualsiasi assassino, ma ci sono anche delle bandiere e delle fanfare pronte ad accogliere Reder, a trasformare un carnefice in eroe: il nazismo in Germania non è morto e se la maggior parte dei tedeschi è uscita dalla guerra, sconvolta e rinnovata, ci sono minoranze, che fanno proseliti con gli stessi sinistri simboli di vent’anni fa.
E pensiamo anche che il maggiore Reder, rientrando in Germania passerebbe dal Brennero e giunto a Innsbruck forse sarebbe portato in trionfo; e magari qualcuno gli proporrebbe di fermarsi, perché in Alto Adige c’è ancora un buon lavoro da svolgere per uno specialista come lui.
Pensiamo che ci sono ancora troppi Reder che continuano a massacrare italiani, col tritolo anziché con la pistole machine. Pensiamo che Reder non è solo un uomo, non è solo il figlio disgraziato di una povera madre. Ma è anche un emblema macabro, un simbolo di ferocia e di inumanità che continua ad allignare su questa terra.