"Intuito il pericolo, abbandonammo la casa e ci rifugiammo nella chiesa di Casaglia, che già era piena di sfollati e di contadini. Il parroco, don Ubaldo Marchioni, stava officiando la messa, quando, poco dopo, entrarono i tedeschi dicendoci di uscire tutti sul sagrato. Dentro rimasero il parroco e una giovane paralitica, Vittoria Nanni, la quale fu prima percossa coi calci dei fucili, poi uccisa lì, in chiesa, con alcuni colpi". Questi sono solo alcuni passi, non i più cruenti, della testimonianza di Lucia Sabbioni, quattordicenne all’epoca della strage, ferita e miracolosamente sopravvissuta alle raffiche dei nazisti. La sua testimonianza è di particolare valore perché è fra quelle raccolte nell’agosto-settembre 1945, quando la memoria era ancora vivida e dolente, dalla signora Romagnoli Toffoletto per il Cardinale Nasalli Rocca. Se oggi conosciamo l’orrore di Marzabotto, è proprio perché gli scampati, ormai quasi tutti scomparsi, hanno lasciato traccia dei loro ricordi consegnandoli ai posteri. Questa e altre testimonianze furono pubblicate anni dopo, il 22 settembre del 1964, dall’Unità, a cura del giornalista Sergio Soglia, già partigiano. "Nella casa dove mi ero rifugiata, dopo la strage alla quale ero miracolosamente scampata, arrivarono ancora i nazisti – si legge nel racconto della maestra Antonietta Benni, sopravvissuta alla carneficina di Cerpiano –. Io credevo che fossero venuti a prendermi. Invece ci avvertirono che le persone dell’Oratorio, uccise dai partigiani - proprio così dissero! - sarebbero state seppellite. C’era anche il maggiore monco, Reder. Lo ricordo benissimo".
Laura Musolesi era una delle sorelle del partigiano ’Lupo’, comandante della brigata Stella Rossa, e scampò al massacro di Casone di Rio Moneta il 29 settembre: "La mistraglia cominciò a sparare, la prima pallottola fu mia, mi passò tra le gambe. Lasciai il gruppo correndo come una pazza, mi buttai in mezzo a un groviglio di spini di more. Un tedesco mi vide, accennò a un altro dove ero nascosta e questo mi trovò subito: io lo pregai di lasciarmi stare, ma lui stizzito mi rispose in tedesco, e io capii che voleva dirmi che se erano morti gli altri dovevo morire anch’io. Però non gli riusciva di mettere in canna la pallottola. Appena poté mi sparò nella testa, non mi colpì benché fossi molto vicina, io mi alzai lasciando la mia roba, corsi via alla disperata, tutti mi sparavano dietro. Una fucilata mi prese al braccio destro, ma continuai a correre".