di Massimo Selleri
Quando il 25 settembre 1949 il presidente della Repubblica Luigi Einaudi salì a Marzabotto, i parenti delle vittime e i superstiti dell’eccidio di Monte Sole tirarono un sospiro di sollievo. Vi era il forte timore che quell’insieme di stragi passassero in secondo piano in nome della pacificazione nazionale e per ragioni internazionali. Inoltre la brigata partigiana che agiva nelle montagne tra la valle del Reno e quella del Setta si chiamava Stella Rossa, un appellativo che ricordava quello della milizia jugoslava in un momento in cui dovevano essere ancora decise le sorti dell’Istria e della Venezia Giulia. Quando attraverso la consultazione dei registri anagrafici venne fissato a 1830 il numero delle vittime, Einaudi ruppe tutti gli indugi conferendo a Marzabotto la medaglia al valor militare e durante una solenne cerimonia appuntò sul gonfalone di questo Comune l’onorificenza per "Il sacrificio dei suoi abitanti nella lotta di liberazione".
L’oblio si era finalmente concluso e i parenti delle vittime delle SS comandate dal maggiore Walter Reder entrarono a pieno titolo tra coloro che pretendevano giustizia per i loro cari.
Le lacrime con cui il presidente della Repubblica Sandro Pertini lasciò il sacrario di Marzabotto il 30 settembre 1979 valgono più di qualsiasi discorso. L’allora capo di stato italiano aveva fatto parte del Comitato di liberazione nazionale, ma rimase colpito dai nomi dei neonati che non furono risparmiati dai soldati tedeschi.
Quel mausoleo venne costruito nella cripta della chiesa parrocchiale e i lavori si conclusero nel 1961. All’inaugurazione era presente Giulio Andreotti, allora ministro della Difesa, ma fino alla visita di Pertini nessuno dei vari politici che ogni anno salivano per la commemorazione dell’eccidio era riuscito a trasmettere quel senso di umanità tipico di chi ha vissuto in prima persona tragedie simili, sa che bisogna perdonare ma questo non significa dimenticare.
"Il nazismo e il fascismo – disse l’allora presidente – sono l’opposto della libertà perché negano l’esistenza di chi la pensa in maniera differente. In questo luogo dove regna il silenzio, la pietà umana non può trasformarsi in indulgenza verso chi ha commesso questi crimini atroci". Nel 1994, per il 50simo anniversario dell’eccidio a Marzabotto salì Oscar Luigi Scalfaro. Due anni prima il capo dello Stato aveva già visitato le montagne bolognesi recandosi a Gaggio Montano al santuario di Ronchidoso. Divenne famoso un gesto: in barba a tutti i protocolli fermò il corteo per andare a salutare un vecchio signore che da ragazzo era stato un partigiano e che in quel momento era costretto a muoversi in sedia a rotelle. Tra gli applausi generali entrambi si commossero e questo fu il biglietto da visita con cui si presentò per commemorare le vittime di Monte Sole. Il clima politico era diverso e lui che aveva fatto parte dell’Assemblea costituente sul palco trovò un altro membro di quel l’insieme di eletti che diedero vita alla costituzione italiana: don Giuseppe Dossetti. La sintonia con il sacerdote era completa e questo portò il presidente a bacchettare il primo governo Berlusconi, nato da pochi mesi, per la sua tentazione di non occuparsi dei più deboli in finanziaria.
Questa parte del suo intervento cancellò le prime frasi che salutavano Marzabotto: "Questa piazza è un monumento dell’ orrore e del dolore ed è una tappa obbligata per chiunque. Venire qui è un pellegrinaggio laico necessario per onorare la Resistenza e la Repubblica".
Nel 2002, la prima storica visita di un presidente tedesco, Johannes Rau, assieme al presidente italiano Carlo Azeglio Ciampi. Infine sia Giorgio Napolitano che lo stesso Sergio Mattarella sono stati a Marzabotto quando ancora non erano stati eletti a nuovi inquilini del Quirinale.