"Solo rallentando i nostri sogni possono raggiungerci". Si presenta così Elisa Cattini, scrittrice carpigiana per ‘passione’ e consulente software per aziende di moda come ‘professione’. Il suo incedere nello scrivere è morbido, lento, profondo e al tempo stesso luminoso e aperto, proprio come il suo sorriso e la sua straordinaria capacità di emozionarsi. Un amore, quello per i libri e per la scrittura, connaturati in lei e curati nel tempo: ha frequentato diversi corsi di scrittura, tra cui i più importanti alla scuola Holden di Alessandro Baricco a Torino. Marco Amerighi, Marco Mancassola, Eleonora Sottili, sono stati i suoi professori e Marco Missiroli "senza dubbio il mio maestro". Al suo attivo Elisa ha quattro pubblicazioni di albi illustrati per l’infanzia e un racconto per ragazzi editi da Errekappa Edizioni, realizzati in collaborazione con Manuela Prandi, Sara Prandi, Daniela Giarratana; nel 2017 ha pubblicato il suo romanzo d’esordio, ‘Vite a gettoni’. Ed già è pronta a stupire i suoi lettori.
Lei si è definita una ‘collezionista di storie’. Quali ‘colleziona’?
"Per natura, e in parte per i passi che ho compiuto nella vita, sono più incline ad ascoltare che a raccontare di me, e mi meraviglia ogni volta la disinvoltura con cui le persone, anche sconosciute, mi fanno dono delle loro storie o parti di esse. Quello che faccio io, inconsapevolmente, è trattenere questi racconti di vita vera e attendere. Possono passare anche anni ma, prima o poi ritornano e permettono a questa specie di magia di accadere: personaggi di fantasia, con le loro caratteristiche e le loro anomalie, si muovono su un terreno a me ancora quasi sconosciuto fino ad arrivare proprio a quella storia lì, senza premeditazione. E il plot è fatto". Unire racconti e pezzi di vita: come nasce questa passione? "Non esiste materia più preziosa della vita, delle esperienze del singolo o collettive, delle epifanie che attraverso esse si raggiungono, per modellare storie. E penso che poche cose siano appassionanti quanto riportare queste esperienze su carta, miscelarle ad altre, e vedere come sarebbe andata se le cose fossero andate in altro modo. Una specie di sliding doors. Nel mio primo romanzo è questo che ho fatto. In verità, senza rendermene del tutto conto, ho scritto di quello che non sono stata nella vita e che avrei potuto essere".
Descrive le storie di altri: come descriverebbe se stessa?
"Una persona vulnerabile. Non fragile, ma vulnerabile. Alterno momenti di grandi paure ad altri di solido entusiasmo. Le narrazioni più riuscite sono frutto delle prime. La paura è un motore che va saputo sfruttare ed è proprio così che ho iniziato a scrivere. L’entusiasmo, invece, serve a procedere, a non lasciare che l’idea del fallimento prenda il sopravvento. Mi definirei una persona normale che ha trovato uno strumento per attraversare le difficoltà. La scrittura è davvero una grande fatica, ma non mi spaventa, tant’è che mi sveglio alle 5 del mattino per allenare polso e cuore. Scrivendo, naturalmente".
Consulente software per aziende di moda e scrittrice ‘per passione’: non ha mai pensato di farne una professione? "L’idea romantica dello scrittore mi ha accarezzato più volte ma sono una persona cui sono stati trasmessi valori come l’indipendenza e l’autonomia quindi sento il bisogno di avere una sicurezza, anche in termini economici, che la scrittura in questo momento non mi darebbe. Marco Missiroli, il mio maestro in Holden, una volta mi disse: ‘Eli, non hai idea di quanto tu sia fortunata a non dover vivere di scrittura’. Intendeva dire che farne un mestiere potrebbe intaccarne l’autenticità, la bramosia. Ancora sento il desiderio irrefrenabile di scrivere. Mi fermo sul ciglio della strada, esco di corsa dalla doccia, mi sveglio nel cuore della notte per appuntarmi una parola, un pensiero. Se lo facessi di professione accadrebbe? Io temo di no".
Le sue prime opere sono dedicate al mondo dei piccoli: come nasce quest’approccio? "Ho iniziato a collezionare libri per l’infanzia molto prima di diventare madre e scrittrice. Sono stata una lettrice, prima di tutto. Questi testi hanno il potere di unire, mettere assieme, abbracciare. Sono una persona nostalgica, penso che le storie possano salvare il mondo".
Ha fatto anche la clownterapia...
"È un pezzo di vita lungo e prezioso - dieci anni - che ha permesso al mio sentire autentico di arrivare in superficie. Senza tutto quel dolore che ho incontrato e attraversato, e il tentativo di lenirlo, di fare qualcosa per aiutare a non ascoltarlo, non sarei la persona che sono oggi. Ho intrapreso questo percorso da volontaria poco dopo che mia madre si è ammalata. Credo di aver testato lì, per la prima volta, la mia propensione all’ascolto. Lì ho conosciuto Manuela Prandi, illustratrice delle storie di Anita e amica tra le più care che ho".
Un testo di Vecchioni recita ‘E capì tardi che dentro quel negozio di tabaccheria c’era più vita di quanta ce ne fosse in tutta la sua poesia’. Per lei il negozio ‘rivelatore’ è stata una lavanderia…
"E’ stata una epifania vera e propria. Sono entrata per la prima volta in questa lavanderia a gettoni su consiglio di mia madre, per lavare un piumone. Mi sono seduta e ho atteso che si compiesse il ciclo del lavaggio. Guardandomi attorno, vedevo persone che scambiavano due parole, a volte confidenze, discorsi della durata di 28 minuti, il tempo di un lavaggio. Poi si salutavano e ognuno andava per la propria strada. Ho pensato che fosse il luogo perfetto in cui ambientare il mio romanzo ‘Vite a gettoni’. Un crocevia di storie, un luogo che a suo modo può essere di grande ispirazione. Può sembrare folle ma parti importanti del romanzo le ho scritte lì, sulle seggioline di plastica, senza avere nulla da lavare".
E il nuovo libro?
"Il nuovo romanzo, forse l’opera più intima della mia vita, è un atto di riconoscenza verso mio padre. Ho iniziato a scriverlo durante uno dei miei corsi, sei mesi dopo la sua scomparsa improvvisa. Un esercizio che doveva risolversi in 10.000 battute. Il mio professore ha trovato che fosse una storia personale da rendere universale e mi ha lanciato una sfida. È stato un lavoro lungo e doloroso. Ripercorrere la vita partendo dalla morte di una delle persone a me più care ha significato pungolare, scavare nei ricordi che ci hanno reso così complici.
Ci abbiamo messo decenni a capirci e ad apprezzarci. Se n’è andato sul più bello ma forse non è un caso. Quindi, non avendo potuto prendermi cura di lui nell’accezione pura del termine, ho voluto restituirgli la mia gratitudine attraverso una storia che parli di noi".
"Finché c’è un tavolo c’è speranza", ha detto a corredo di una foto che ritrae una scrivania, su cui ci sono vari oggetti. A quale speranza allude?
"La speranza che questo tavolo non si svuoti mai, che continui a dare spazio e dimora a oggetti, colori, parole che per me sono linfa. Attorno a quel tavolo nascono idee, discussioni.
Essendo l’unico tavolo di casa, molto spesso la tovaglia la sera viene buttata sopra a fogli, libri, penne che tanto sarebbe inutile spostare. Vivo in un ambiente creativo. Il mio compagno, mio figlio sono grandi creativi e sostenitori a loro volta della mia creatività".
Un piccolo, grande sogno?
"Il sogno più grande è che questo mio ardore sia di esempio e ispirazione per mio figlio.
Per quanto riguarda la scrittura mi auguro che le mie storie continuino a suscitare interesse. Ho un progetto per bambini a me molto caro che sto portando avanti assieme a Evelyn Daviddi, un’illustratrice molto conosciuta nell’ambiente editoriale. Oltre a questo, c’è un’opera corale cui la mia editrice storica, Monica Fava, mi ha chiesto di contribuire, che tratterà il tema del rispetto della propria essenza nel realizzare i propri sogni. Che il mio romanzo trovi la giusta dimora è già stato detto, vero?".