GIULIANO RAMAZZINA
Cronaca

"Io nell’inferno di Mauthausen: l’orrore esiste"

Il ricordo di Arduino Nali, 96 anni: "Mi sono salvato perché sapevo lavorare, facevo il meccanico"

di Giuliano Ramazzina

Quando vede Liliana Segre in televisione si commuove perché ripensa alle sofferenze di milioni di vittime. "E quando sento parlare di odio, intolleranza, violenza – dice – mi ribolle ancora il sangue. Io c’ero, e so cosa vuol dire". Arduino Nali, 96 anni, primo alpino nell’esercito regolare, sopravvissuto all’orrore del campo di concentramento di Mauthausen, ieri nel giorno della memoria ha ricevuto dalle mani del sindaco Omar Barbierato la benemerenza ‘Adria Riconoscente’. Un’altra occasione per ricordare violenze e sofferenze, morti e privazioni. "Era l’inferno – aggiunge – ogni giorno lottavo per rimanere in vita". Lui ha visto la lotta per la sopravvivenza, la fame e il freddo, i cadaveri scaricati dalle camere a gas, la quotidiana paura della morte. Arduino è un testimone che oggi vive per tramandare ai giovani il ricordo dell’Olocausto. "C’è ancora – sottolinea – chi lo nega, come quella volta ad una mostra dove un professore osò dire che la Shoah è un’esagerazione, un’invenzione. Lo misi a tacere mostrandogli il numero di matricola che mi diedero a Mauthausen". Un numero che Arduino portò impresso su braccio e collo per molti anni: 115626. Impossibile dimenticare ."Le cose brutte non si dimenticano– racconta, iniziando dalla Resistenza –: nel 1945 ero partigiano nella Brigata Poli, nome di battaglia Duino. Un giorno fummo accerchiati dai nazifascisti, ci fu un conflitto a fuoco, diversi feriti. Alla fine ci arrestarono. Ricordo che finimmo con le mani legate dietro alla schiena a lato di un muretto. Pensammo tutti che ci avrebbero fucilati". Una storia da film la sua. Arduino venne pestato a sangue e poi trasferito in una prigione di Asti, quindi a Bolzano, e da lì caricato su un convoglio verso l’Austria. Infine, a gennaio del 1945, l’arrivo al campo di Mauthausen. "I tedeschi ci spogliarono in un piazzale – rammenta – sotto una tormenta di neve, ci rasarono e ci buttarono nelle baracche. Dormivamo in quattro sulla paglia, tra cimici e pidocchi. Si gelava dal freddo, bisognava resistere, lottare per la sopravvivenza. Di fronte alla mia baracca vedevo i forni crematori. I prigionieri venivano portati a ondate in quelle stanze dell’orrore, a volte preceduti da uno che suonava il violino. Io mi sono salvato – rivela Arduino – perché sapevo lavorare, quindi ero utile. Facevo il meccanico, per 12 ore al giorno in un’officina a fabbricare otturatori per fucili. Arrivai a pesare 30 chili. In più occasioni mi sono svegliato alla mattina con accanto, sul mio letto, un compagno morto di fame o di stenti. Per tutti era solo questione di tempo. Il 5 maggio 1945 arrivarono gli americani che liberarono il campo di concentramento".