REDAZIONE RIMINI

Lotta alla mafia, Saviano: "Ecco come la camorra riesce a infiltrarsi in Riviera"

"L’accoglienza profughi rischia di diventare il nuovo business"

Lo scrittore Roberto Saviano e la copertina del suo ultimo libro

Rimini, 30 marzo 2017 - Ai ragazzi delle scuole spiegherà perché la mafia è un nemico subdolo, molto più vicino a noi di quanto si pensi. Non è un caso che la manifestazione di ‘Libera’ si sia svolta qui, a Rimini. E non è un caso che Roberto Saviano abbia scelto di presentare il suo ultimo romanzo, La paranza dei bambini, anche a Rimini (il 4 aprile al Teatro Novelli, dalle 21, ingresso gratuito).

Come spiega la presenza sempre più massiccia delle organizzazioni mafiose in Riviera?

«Le mafie cercano la sponda nella politica e nella società civile, e lo fanno dove ci sono appalti da vincere e la soglia di attenzione non è alta: dove la possibilità di infiltrarsi esiste. Ma soprattutto lo fanno dove trovano praterie da colonizzare senza spargere sangue».

La camorra a Rimini ha attecchito perché ha trovato terreno fertile per riciclare i suoi denari? E il ‘ruolo’ di San Marino?

«Ogni stato ha il suo buco nero: la Germania ha il Lichtenstein, la Francia il Lussemburgo, la Spagna Andorra. L’Italia ha San Marino. E tutti hanno la Svizzera e Londra».

C’è stato un salto di qualità degli affari camorristici in Romagna negli ultimi anni? A Rimini alcuni alberghi in odore di mafia si erano candidati addirittura ad accogliere i profughi...

«L’accoglienza può essere un business lucroso. Ovviamente non per i richiedenti asilo, ma per chi si candida e ottiene di gestire la loro accoglienza. Il problema è la mancanza di verifiche che dà la spiacevolissima sensazione che l’emergenza serva ad accelerare procedure, a vivere in un clima di costante urgenza che abbassa i controlli. E dove ci sono prospettive di guadagno e mancano controlli c’è la criminalità organizzata».

Parlando del libro, in alcune pagine si avverte un senso di pietà verso Nicolas e gli altri piccoli camorristi, come se fossero vittime pur consapevoli del sistema.

«E’ così, e la dedica lo spiega bene: ai morti colpevoli, alla loro innocenza. Si sceglie di entrare nella camorra. Si sceglie perché mancano alternative. Mi si potrebbe obiettare: perché, a parità di condizioni, altri non fanno le stesse scelte? La risposta è complicatissima perché se muta nell’equazione una sola variabile cambia il risultato. Basta un solo adulto per cambiare il destino di quei ragazzi. Basta avere concretamente la consapevolezza che esista un impegno diverso dal desiderio di comando. Ma poi per loro cosa significa comandare? Avere donne, denaro, armi, e dimostrare di essere meglio di chi li considera feccia. Una forma di riscatto sociale che non trova forma migliore per palesarsi: comando, faccio paura quindi sono il migliore.

Per presentare il libro ha scelto di incontrare i ragazzi delle scuole in tante città. Come reagiscono? Cosa sanno della mafia?

«Ne sanno abbastanza perché negli ultimi decenni la consapevolezza è mutata. Di mafie si parla, le mafie si studiano, contro le mafie si manifesta. Le mafie si nominano, si nominano i mafiosi, i camorristi, gli ‘ndranghetisti meno. Tutto cambia nei luoghi d’elezione delle mafie dove ancora resistono omertà e controllo del territorio. Ma pensare che in Romagna, o a Milano o Torino i ragazzi sappiano chi sia Emanuele Sibillo, e ci si interessi alle storie di chi si affilia, significa crearsi un sistema di anticorpi vitali in una società esposta ovunque alle infiltrazioni criminali, in un Paese che è un organismo che vive in osmosi. E se il Sud muore, si porta dietro tutto il resto».

Questo romanzo arriva a 10 anni da Gomorra. Un successo che l’ha condannata alla vita da recluso: cosa le manca di più da quando è sotto scorta?

«Passeggiare libero, da solo e senza meta. E soprattutto farlo in Italia».