Rimini, 2 marzo 2023 – Ci sarebbe la mano di Roberto Savi, ex poliziotto della banda della Uno Bianca, dietro alcuni attentati esplosivi avvenuti a Rimini all’inizio degli anni ‘70. Un anno fa Savi, che sta scontando la pena dell’ergastolo nel carcere di Bollate, avrebbe chiesto, di sua iniziativa, di essere ascoltato dai pm della Procura di Bologna.
Secondo le indiscrezioni trapelate, il feroce assassino – alla guida del gruppo criminale che tra anni Ottanta e Novanta seminò il terrore in tutta la Regione, lasciandosi alle spalle una scia di sangue, 24 delitti e numerose rapine –, collegato in videoconferenza dal carcere milanese, avrebbe fatto dichiarazioni spontanee, riferendo fatti risalenti all’inizio degli anni ‘70 e attribuendosi alcuni attentati, con piccoli ordigni, che avrebbe commesso a Rimini nell’ambito di un attivismo in movimenti di estrema destra. Episodi senza vittime che avrebbe commesso da solo, ben prima dei fatti della banda per cui è stato condannato.
Chi è Roberto Savi
Roberto Savi, 68 anni, – considerato insieme ai fratelli Fabio e Alberto una delle figure centrali della banda, nonché il suo fondatore – fu il primo ad essere arrestato. Insieme al fratello Alberto fu membro della Polizia di Stato, assegnato alla Questura di Bologna, dove al momento dell’arresto rivestiva il grado di assistente capo ed effettuava il servizio di operatore radio nella centrale operativa. Da giovane ha militato nel Fronte della Gioventù, organizzazione giovanile del Movimento Sociale Italiano. Il periodo al quale viene fatta risalire la militanza di Savi è quello degli anni di piombo, caratterizzati da violenze di piazza e da attentati, nonché da scontri tra giovani aderenti a formazioni extraparlamentari di destra e sinistra.
Le domande di grazia
Nel marzo del 2022 l’ex poliziotto aveva presentato, per la terza volta, una richiesta di grazia al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Il tribunale di Sorveglianza di Milano aveva trasmesso gli atti alla Procura generale di Bologna, che aveva espresso parere contrario, attraverso la procuratrice reggente, Lucia Musti.
Roberto ci aveva provato con il Presidente della Repubblica una prima volta nel 2005, salvo poi ritirarla dopo la bufera che ne derivò. Nuovo tentativo nel 2017 ma ancora una volta senza esito. Nuovo tentativo nel 2017 ma ancora una volta senza esito. Da parte sua e del fratello Fabio – che in passato chiese uno sconto di pena arrivando fino alla Cassazione – non sono mai arrivate le scuse ai familiari delle vittime. "Era emerso che Roberto in gioventù aveva frequentato ambienti neo fascisti del riminese. La verità processuale su fatti accaduti successivamente è quella affermata nelle varie sentenze di condanna" ha affermato Valter Giovannini, ex procuratore aggiunto di Bologna.
l.m.