MANUEL SPADAZZI
Cronaca

Signani al tappeto in tribunale: deve restituire i guadagni da pugile

Il ministero della Difesa non lo aveva mai autorizzato a combattere

Il pugile Matteo Signani (Foto Ravaglia)

Rimini, 2 marzo 2016 - Il campione al tappeto. Stavolta però a metterlo ko non è stato un rivale sul ring, ma il ministero della Difesa... Che ha chiesto e ottenuto che il famoso pugile Matteo Signani, il ‘giaguaro’ di Savignano, in servizio come militare alla Capitaneria di porto di Rimini, restituisca gran parte dei premi ottenuti in questi anni grazie alle sue vittorie sul ring. Il motivo? Secondo il ministero (e anche secondo il Tar, che ha respinto il suo ricorso) Signani ha portato avanti la sua attività di pugile come se fosse un professionista: attività «non autorizzata» e «incompatibile» con il suo ruolo di dipendente pubblico.

Per questo Signani, più volte campione italiano dei pesi mesi e l’anno scorso vincitore del titolo intercontinentale Wba, deve restituire allo Stato i proventi conquistati come pugile. Una somma quantificata in 21.780 euro, che da agosto (dopo il provvedimento della direzione del commissariato militare marittimo di Ancona) viene trattenuta mensilmente dallo stipendio del ‘giaguaro’ con rate da 329 euro per ogni mese...

Una storia che ha dell’incredibile, anche per come è nata. Tutto parte quando Signani (che sale sul ring da anni, e non l’ha mai nascosto ai colleghi della Capitaneria di porto di Rimini) chiede di poter mettere il simbolo della Marina sulla sua tenuta, durante gli incontri. A Signani sembra un bel gesto, che dà visibilità alla Marina e alla Capitaneria di Rimini dove lavora. Ma a Roma qualcuno non la pensa affatto così, e inizia a spulciare tra i trionfi di Signani. E viene fuori così che il pugile aveva fatto sì domanda, nel 2008, per essere autorizzato a portare avanti l’attività, ma non aveva mai avuto una risposta.

Nonostante questo, dal momento che la sua carriera di boxeur non interferiva con il suo lavoro alla Capitaneria di porto, Signani ha continuato a combattere. E a vincere. Laureandosi più volte campione italiano, poi europeo (nel 2014) e infine intercontinentale. Ma nel 2015 arriva la mazzata: il ministero gli chiede di restituire tutti i soldi guadagnati come pugile. Signani, difeso dall’avvocato Serena Arcuri, fa ricorso al Tar, ma (qualche settimana fa) il tribunale lo rigetta e conferma il provvedimento nei suoi confronti.

A nulla sono valse le obiezioni del suo avvocato, che ha fatto notare come la sua attività da pugile non sia «professionale», perché «priva dei caratteri dell’abitualità e continuità», e soprattutto «senza una vera e propria retribuzione». Signani in questi anni ha incassato soltanto dei premi, peraltro «di importo limitato». Ma la legge, come spiega il Tar nella sentenza con cui ha rigettato il ricorso del campione, prevede che «i dipendenti pubblici possono prestare attività in società e associazioni sportive dilettantistiche, fuori dal loro orario di lavoro, purché a titolo gratuito». Non è il caso di Signani, costretto a versare allo Stato i soldi incassati coi premi vinti sul ring. Ma il pugile non intende arrendersi: è deciso a impugnare la sentenza del Tar.