
Si è abituati a considerare il ponte di Augusto e Tiberio come un’opera indistruttibile: da esattamente duemila anni (è infatti terminata la sua costruzione nel 21 d.C.) ha consentito il transito di ogni tipo di automezzi, compresi carri armati e autotreni, senza apparentemente soffrirne; tutti concordano che si tratti di una delle meraviglie dell’ingegneria romana, forse la meglio conservata dato che è attualmente percorsa da veicoli, anche se ancora per poco e a tratti.
Se la natura nulla ha potuto contro la eccezionale bravura dei nostri progenitori latini, l’uomo più volte ha cercato di sabotare questa opera grandiosa, sempre per motivi di carattere bellico.
Il primo e più noto episodio di grave danneggiamento del ponte risale a poco meno di 1500 anni fa, durante il devastante conflitto tra Bizantini e Ostrogoti. L’imperatore Giustiniano, per riconquistare totalmente l’Italia dopo 17 anni di combattimenti, aveva inviato un potente esercito, al comando di Narsete, probabilmente uno dei migliori generali bizantini. Già amministratore del tesoro imperiale, il nuovo comandante aveva criticato la strategia adottata dal suo predecessore Belisario; da esperto economo era attento al costo della guerra e da abile militare pensava che fosse meglio portare un veloce attacco risolutivo invece che attardarsi negli assedi.
La capacità del condottiero si forgiò guidando un esercito di trentamila uomini dalle più disparate provenienze (oltre ai Bizantini vi erano Traci, Illirici, Unni o Bulgari, Longobardi, Persiani, Gepidi e gli Eruli, considerati i migliori e i più fidati), in sostanza un antesignano della “Ottava Armata” inglese, una vera forza multinazionale.
Ma, al contrario degli Alleati, il generale, partito dalla Dalmazia, passò dal nord della penisola (sembra abbia affermato “lo stivale va calzato dall’alto”), adottando l’accorgimento di far marciare l’esercito lungo la costa adriatica a contatto con la flotta, ed arrivò a Ravenna nel giugno del 552.
Di qui partì alla volta di Rimini dove si era asserragliato l’esercito ostrogoto, che aveva demolito un’arcata del ponte di Augusto e Tiberio ritenendo di aver posto un ostacolo formidabile per l’avanzata dei Bizantini: addirittura il comandante in loco, Usdrila, pur avendo poche truppe, affrontò baldanzoso i nemici ma fu ucciso da una freccia. Gli Ostrogoti si trincerarono allora sulla riva del fiume per impedirne l’attraversamento.
Lo stato del ponte fu descritto da Procopio così precisamente da pensare che probabilmente
egli lo vide con i propri occhi, o ebbe comunque notizie dirette, dopo le distruzioni inflitte.
Scrisse infatti, con il tempo verbale del presente: "il fiume che scorre vicino a Rimini può essere attraversato sul ponte appena e a stento da un uomo solo, che sia disarmato e che proceda a piedi, non solo con difficoltà ma anche con grande pena, e comunque se nessuno reca molestia o impedisce il passaggio; per una moltitudine di uomini, soprattutto se armati di tutto punto e specialmente se i nemici sono schierati contro, in questo punto è impossibile passare in qualunque modo".
Il letterato americano Dewing, che alla fine dell’Ottocento per la prima volta tradusse Procopio in inglese, commentò: "Lo splendido ponte di Augusto sul Marecchia (antico ‘Flavius Ariminus’) che ancora resiste, deve essere stato molto danneggiato per giustificare un tale giudizio di Procopio".
L’astuto Narsete non voleva però disperdere tempo e risorse nell’assedio della nostra città:
già in passato, aveva utilizzato la flotta per superare ostacoli naturali, trasformandola in ponte di barche o in traghetti. Perciò anche questa volta decise di sfruttare l’arma navale: fece trasportare l’esercito dalla flotta fino a Fano, dove la via Flaminia abbandona la costa e si addentrò all’interno della penisola.
A Tagina, vicino a Gualdo Tadino, il generale bizantino sconfisse il comandante dei Goti Baduila, detto Totila cioè l’immortale, e lo uccise; i resti dell’esercito ostrogoto furono definitivamente debellati poco dopo ai Monti
Lattari. Narsete, con la sua rapida e vittoriosa spedizione, consegnò così a Giustiniano il dominio dell’intera Italia.
Il condottiero, già settantaquattrenne, tentò nell’ultimo periodo della sua vita di risollevare
la penisola dalle distruzioni di una guerra durata un ventennio, ma il ponte di Augusto e Tiberio restò gravemente danneggiato per molti secoli ancora.
Andrea Montemaggi