Rimini, 19 settembre 2024 – L’altro Louis. Il volto oscuro su cui puntano le indagini, quello che sarebbe celato dietro a un passato difficile, maturato per le strade di Dakar e le celle di Saba. Quello che la Procura ha voluto mettere a nudo nelle oltre 200 pagine di memoria depositate nei giorni scorsi per convincere il giudici del Riesame della presunta pericolosità del 34enne senegalese, tale da trattenerlo in carcere. Un soggetto “dall’indole violenta, insensibile al rispetto dell’altrui integrità fisica”, per usare le parole glaciali impresse nero su bianco proprio nella misura cautelare per effetto della quale Louis Dassilva si trova ai ’Casetti’ da metà luglio, accusato di essere lui l’assassino di Pierina Paganelli, uccisa in via del Ciclamino il 3 ottobre 2023 con 29 coltellate. Lui che eppure da più di una persona, dall’amico Loris Bianchi all’ex amante Manuela, è stato invece definito in questo anno di indagini come un uomo “mite, incapace di fare del male”. Ma per la Procura non sarebbe così. Per la Procura c’è di più.
Per la Procura, c’è un altro Louis e la verità sta annidata come i mali nello scrigno di Pandora in un vissuto “fortemente traumatico”, come lo ha definito lo stesso pm Daniele Paci nella sua memoria. Un passato in giacca verde militare della Gendarmeria del Senegal, dove Dassilva ha prestato servizio dal 2012 al 2013. E poi un passato di violenze quando a Saba, in Libia, lo stesso indagato ha raccontato agli investigatori di essere stato rapito e sequestrato: picchiato “con le cinghie, con i bastoni, con il calcio del fucile”. E ancora: “Ci facevano combattere tra di noi per scommessa”, ha raccontato Dassilva agli investigatori. Una ricostruzione, fino all’arrivo in Italia col barcone nel 2015, che ha alimentato come un mantice i presunti indizi a carico del 34enne poiché “segnato” dopo “aver visto numerosi cadaveri ed aver vissuto e subito numerosi episodi di violenza”.
Ma non c’è solo l’indole nella faccia oscura della medaglia di Dassilva secondo chi indaga. Per la Procura a risultare determinante sarebbe proprio il trascorso nella Gendarmeria, quando l’indagato avrebbe ricevuto un serrato e impegnativo addestramento militare. Una preparazione “eccezionale” scrive chi indaga, della quale avrebbe raccontato anche la stessa moglie di Dassilva, Valeria Bartolucci.
La donna, tre giorni dopo l’esecuzione della misura cautelare in carcere del marito, avrebbe detto che la preparazione acquisita dal marito durante la militanza nella Gendarmeria del Senegal gli avrebbe permesso di uccidere una persona “senza che questa versi neanche una goccia di sangue”, “perché lui è addestrato, perché è un ex soldato”. Una frase che per gli inquirenti ha poi rivestito una rilevanza cruciale nel vedersi confermata la misura cautelare in carcere al Riesame, così come per rafforzare l’impianto accusatorio d’indagine secondo cui Dassilva avrebbe tutte le capacità per fare del male. Persino per arrivare a uccidere. Persino per arrivare a uccidere Pierina Paganelli.