La sfida di Cristiana: "Una corsa per la vita"

La riminese a 56 anni ha tagliato il traguardo della maratona di Ravenna per dimostrare cosa può fare un malato oncologico

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"Essere malati non significa rinunciare a quello che ci fa stare bene". Per Cristiana Di Pietrantonio correre è libertà. Lo è stato per 144 volte, quante sono state le maratone completate prima che arrivasse la diagnosi: adenocarcinoma polmonare. Non appena, in primavera, siamo tornati a respirare aria di libertà dal virus, ecco che Cristiana è tornata a correre a 56 anni. Domenica ha tagliando il traguardo della Maratona di Ravenna dopo aver continuato ad allenarsi con gli amici del Golden club Rimini. Per lei è la 150esima volta. A proporle la sfida è stato lo stesso Ior, istituto oncologico romagnolo. "Sapevamo che se una persona poteva portare a termine la Maratona di Ravenna – dice Fabrizio Miserocchi direttore generale dello Ior -, quella persona era lei".

E lei è arrivata fino in fondo, Cristiana…

"Si, ci sono riuscita nonostante mi fossi sottoposta due giorni prima al 28esimo ciclo di chiemioterapia. E’ la sesta maratona che finisco da quando mi hanno diagnosticato il tumore".

La diagnosi le è arrivata pochi giorni prima che piombassimo nel primo lockdown.

"Era da due anni che non stavo bene per l’asma. Il pneumologo mi diceva che poteva essere una malattia psicosomatica. In seguito ho fatto una tac e sono emerse delle macchie. Alla fine è arrivato il responso. Mi sono messa a ridere, quella era la conclusione di tutto, di un qualcosa che sentivo da un paio di anni. Poi è arrivato il lockdown, ed è cambiato il mondo con la paura di un virus che colpiva soprattutto i polmoni. Sono rimasta chiusa in casa per mesi".

Ma non ha dimenticato la corsa.

"Appena ho potuto sono tornata a correre. La prima volta è stata a maggio. Ho fatto la dose di richiamo del vaccino e sono partita per Cinisello Balsamo per correre una dodici ore con partenza a mezzanotte. Ho corso per più di 9 ore prima del ritiro. Poi ho corso sei maratone, terminandole tutte".

Cosa le dicono gli altri podisti?

"Con me ho degli angeli che mi sostengono nei momenti di difficoltà. A volte mi fermo e cammino, ma loro sono lì a incitarmi, così riprendo la corsa. Ma ci sono anche altri che mi hanno offeso. Sentirsi dire ‘non è vero che ha un tumore perché non perdi i capelli’, o cose simili sono frasi che feriscono".

Cos’è per lei correre?

"E’ libertà e condivisione. E’ la bellezza di sentirsi a contatto con la natura, da questa traggo forza. Correre al mare sentendo le onde e il vento, o in collina fino ad arrivare in vetta e vedere il paesaggio sono sensazioni bellissime. Poi è condivisione perché hai persone al tuo fianco con le quali vive esperienze importanti".

Ne ha incontrate anche nel percorso terapeutico?

"Si, una è diventata mia amica. L’ho incontrata in ospedale, le persone che ci vedevano assieme ci dicevano che belle che siete. Non ce l’ha fatta, è scomparsa tre settimane fa".

Cosa pensa del futuro?

"Le statistiche prevedono una sopravvivenza di massimo 5 anni. Ne sono trascorsi uno e mezzo dalla diagnosi. Vivrò altri tre anni? Non lo so, non mi importa: voglio farlo comunque e sempre col sorriso, come mi ha insegnato il mio papà. Finché avrò forza sarò in strada a divertirmi, sarò libera".

Andrea Oliva