Rimini, 7 settembre 2024 – Tutto era nato per colpa di una finestra. Anzi due. Due finestrelle sulla cui esistenza o meno si era scatenato un vespaio condominiale che aveva portato, nel gennaio del 2021, alla condanna per calunnia di Grazia Letizia Veronese. La vedova di Lucio Battisti era stata ritenuta colpevole in sentenza di primo grado, con pena fissata a un anno e quattro mesi.
Ma la decisione del Tribunale di Rimini non era mai andata giù alla moglie dell’indimenticabile cantautore laziale, tanto che, rappresentata dall’avvocato Piero Venturi, la donna aveva impugnato la sentenza, arrivando fino alla Corte d’Appello di Bologna, che proprio in questi giorni per quella vicenda ha dunque ribaltato la sentenza di condanna giudicando la Veronese innocente, a seguito di assoluzione perché il fatto non sussiste.
La lunga querelle giudiziaria era iniziata anni addietro sull’esistenza o meno di due finestre interne con affaccio sul vano scale comune di un palazzo di via Ramusio, a due passi dal Grand Hotel. In quella strada Battisti aveva acquistato anni prima una casa dove l’artista amava rifugiarsi con moglie e figlio, per cercare riparo dai fans più invadenti.
Eppure, per ironia del destino, i problemi per la vedova di Battisti sono poi arrivati proprio da quella casa tanto cara al cantautore. Secondo la famiglia di Lucio quelle finestre consentivano di guardare in casa Battisti, da qui la necessità di montare vetri oscuranti per garantire la privacy dell’artista.
Un lavoro eseguito molti anni fa, salvo poi nel 2011 sostituirle perché consumate dal tempo. Nel condominio di via Ramusio però c’era chi sostenne già all’epoca che le finestre fossero nuove di zecca. Nello specifico una delle vicine, rappresentata dall’avvocato Francesco Cardile, aveva fatto partire un esposto per questo contro la vedova Battisti.
Il primo round della vicenda giudiziaria si era concluso davanti al giudice di pace, con il figlio di Battisti chiamato a testimoniare insieme all’operaio che aveva fatto i lavoro e un altro condomino. I tre erano stati poi indagati a loro volta per falsa testimonianza, per poi essere assolti. Chi invece infine era stata condannata per calunnia – accusa poi rivolta via querela dalla Veronese alla stessa vicina che l’aveva trascinata in tribunale – era stata proprio la vedova Battisti.
Ora però, la Corte d’Appello ha ribaltato ancora una volta la situazione accogliendo di fatto il ricorso di Grazia Letizia Veronese riconoscendo come determinante all’assoluzione lo "stallo probatorio" legato al fatto che "il non aver visto infissi chiusi, peraltro semplicemente transitando lungo le scale, quindi con un’attenzione non specificatamente diretta a controllare la presenza o meno degli stessi e per giunta in posizione nemmeno agevole (...) non implica necessariamente che quegli stessi infissi non vi fossero affatto".