
"Io e i miei tre figli serviremo il pranzo alla mensa dei poveri"
Un Natale diverso, per tanti riminesi. Per quelli che credono che la beneficenza non è solo fare una donazione, o lasciare qualche spicciolo a chi chiede l’elemosina. Domani ci saranno famiglie che festeggeranno il Natale insieme ai profughi ucraini accolti in casa. Altre inviteranno clochard e persone in difficoltà per il pranzo. E poi c’è chi, come Alessandra Borghesi e i suoi figli, passerà alcune ore alla mensa della Caritas per servire il pranzo ai poveri. Non sarà l’unica: una dozzina i riminesi che presteranno servizio come volontari, altri sei saranno impegnati con il giro di consegna di cibo e beni di prima necessità ad anziani in difficoltà.
Alessandra, come ha maturato la decisione di trascorrere il Natale alla Caritas diocesana?
"Mi sono avvicinata alla realtà della Caritas di Rimini all’inizio della pandemia – racconta lei, 55 anni, impiegata in un’azienda – Ero in cassa integrazione e avevo molto più tempo, così qualche volta ha dato una mano in mensa. E quest’anno mi sono detta: perché non passare il Natale alla Caritas coinvolgendo tre dei miei figli".
Quanti anni hanno?
"Il più grande 30, un altro 24, il più piccolo ne ha solo 12".
Come l’hanno presa?
"A uno di loro devo ancora dirlo, non sa nulla. Penso che alla fine usciranno tutti felici da questa esperienza. Si tratta di donare un po’ di tempo a chi sta male veramente, a chi soffre. Perché aiutare gli altri non è solo fare un’offerta, allungare qualche soldo: è stare con loro, ascoltarli. In una parola, condividere qualche momento insieme ".
Insomma, al pranzo di Natale in casa preferisce servire i poveri alla mensa...
"Ho pensato che fosse la cosa più giusta da fare, quest’anno. E non è regalo che facciamo a loro, ai poveri seguiti dalla Caritas intendo. E’ un regalo che facciamo, prima di tutto, a noi stessi".
Cosa intende?
"Ci servirà a capire quali sono i veri valori della vita, e a riscoprire il vero senso del Natale".
Manuel Spadazzi