Rimini, 22 dicembre 2024 – E’ tornato a casa con un volo atterrato a Bologna venerdì sera dopo una settimana di paura, stenti, cibo introvabile, acqua razionata e tutto attorno la devastazione del ciclone che ha raso al suolo le isole Mayotte a nord del Madagascar. Roberto Manoli, che nella vita si divide tra Alfonsine e Rimini, oggi può sorridere, ma per giorni ha cercato una via d’uscita da un paradiso diventato un inferno.
Manoli, facciamo un passo indietro al momento in cui è arrivato il ciclone.
“Il fenomeno è stato sottovalutato. Inizialmente si pensava che avrebbe girato al largo delle isole, ma le previsioni sono cambiate. Io ero a Mayotte per lavoro. Solo al rientro in hotel, verso le 17 ho visto il cartello che lanciava l’allarme per la mattina successiva. Il giorno seguente ho fatto colazione, poi il vento. Non ho fatto in tempo a rendermi conto di quanto stava accadendo che un grande albero è crollato sulla nostra casetta, tra la camera da letto e il bagno”.
Vivo per miracolo.
“Ancora non sapevo che quello era solo l’inizio. Il ciclone fa due giri, mi dicevano, e quando torna è peggio. Ho tirato fuori dalla casetta un uomo del Camerun, poi quando è tornato il sole è arrivata la gendarmeria. Ci hanno riportato nella casetta ancora intatta e hanno iniziato a barricarsi dentro mettendo tavoli e materassi davanti alle vetrate. Se il vento fosse entrato da lì avrebbe scoperchiato la casetta e sarebbe stata la fine. Mi hanno dato un caschetto, poi è tornato il ciclone. Urlavano, tenevano duro e spingevano contro la porta. In tutto sono state quattro ore e mezza di terrore”.
Ma eravate salvi. Poi sono arrivati i soccorsi?
“No. Tra gli ospiti dell’hotel abbiamo cercato le auto per andare via, ma erano distrutte. Solo una funzionava. Con me è venuta via anche una infermiera francese. Abbiamo cercato rifugio dove era possibile. Abbiamo dormito per terra con lenzuola bagnate e abbiamo provato ad andare nella parte nord dell’isola perché lì i ripetitori erano ancora funzionanti. Siamo stati ospitati in una camera, poi in un’altra casa. Non funzionava nulla: le comunicazioni ed anche il bancomat. Abbiamo trovato un supermercato aperto, la fila era lunghissima e si pagava solo in contanti, altrimenti non davano nulla. Ho mangiato quello che ho trovato, poi è finita anche l’acqua e ho razionato quella poca che avevo”.
Ha chiesto aiuto al consolato?
“Tramite quello francese mi sono messo in contatto con quello italiano in Francia. Mi dicevano che gli aiuti c’erano, mentre io gli spiegavo che non c’era proprio nulla sull’isola”.
Come ha fatto a rientrare?
“Con l’infermiera che parlava francese abbiamo deciso di andare al porto per imbarcarci e arrivare sull’altra isola dove c’era l’aeroporto. Ma facevano passare solo alcuni, e io non avevo alcun pass”.
Chi l’ha salvata?
“C’era caos e mi sono infilato, io e l’infermiera. Non ci hanno notato. Siamo saliti su una barchetta, ma durante il tragitto lo scafo, danneggiato dal ciclone, ha iniziato a imbarcare acqua. Non so come, ma siamo riusciti ad attraccare”.
Aveva un posto prenotato sui voli di rientro?
“No e infatti ci hanno detto che dovevamo stare a terra. Poi l’infermiera ha continuato a chiedere per tutto il giorno, senza sosta e alla fine ci hanno fatto salire. A bordo erano più i posti vuoti di quelli pieni. Così siamo arrivati a Parigi e da lì sono rientrato a Bologna. Se oggi sono qui devo ringraziare alcune persone, qui di Rimini, ma non la Farnesina. Mi sono state vicine e mi hanno aiutato. Grazie alla mia compagnia, ai famigliari, al comandante della Capitaneria Ottavio Cilio con cui ero in contatto. Grazie la sindaco Sadegholvaad, a Ennio Stocco, Ada di Campi, alla mia azienda, la Marini Bomag. Grazie a tutti sono tornato a casa”.