Basta con le aste deserte: "Mi compro il Pio Manzù"

Giacomo Manzoni, figlio dell’artista a cui Dasi dedicò le celebri Giornate: "A noi interessa come Fondazione, non credo ci siano altre proposte" .

Giacomo Manzoni

Giacomo Manzoni

"Come Fondazione Pio Manzù siamo stanchi di assistere a una sequela di aste, che vanno regolarmente a vuoto, dei beni appartenuti al Centro ricerche fondato da Gerardo Filiberto Dasi. Siamo pronti a fare una nuova offerta al liquidatore. Ma siamo anche pronti ad adire alle vie legali per i danni di immagine al nome Pio Manzù, cui è intitolata la Fondazione con sede a Bergamo". A due anni di distanza torna a dire la sua Giacomo Manzoni, presidente della Fondazione intitolata al padre, l’artista e designer Pio Manzoni, in arte Manzù. Morto a soli 30 anni, nel 1969 in un incidente d’auto. Una tragedia che toccò profondamente l’amico Gerardo Filiberto Dasi, che decise di intolare a lui il Centro e le Giornate. Un evento annuale che portò a Rimini capi di Stato e di governo, potenti del mondo e vip: Gorbaciov, Kissinger, Lady Diana, Arafat, Sharon Stone, George Bush, Helmuth Schmidt, Napolitano, tra gli altri.

"Sono passati ormai 9 anni dalla scomparsa di Dasi – continua Manzoni –, 10 dall’ultima edizione delle Giornate internazionali di studio, e le acque non si muovono. Premesso che il marchio Pio Manzù, come abbiamo dimostrato con vari documenti, è di proprietà nostra e non fa parte dei beni all’asta, nei quali non sono compresi neppure le opere d’arte, per la proprietà delle quali pende un ricorso in Cassazione delle figlie di Dasi, sono pronto a fare una nuova offerta. Tenendo conto del fatto che, escluso marchio e opere d’arte, le uniche cose di certo valore, dal punto di vista della memoria storica e documentaristica, sono le lettere dei carteggi tra Dasi e le personalità della politica mondiale che partecipò alle Giornate. E soprattutto le fotografie degli stessi partecipanti più celebri". La prima asta dei beni fissava la cifra di partenza in 250mila euro. La seconda vide la base d’asta scendere a 215. La terza, lo scorso 24 novembre, partiva da 149mila euro. Deserte tutte tre.

"Non credo ci sia qualcuno ragionevolmente interessato ad acquisire quel materiale – conclude Manzoni –. Mentre a noi interessa come Fondazione". Perché ipotizza di adire per vie legali? "Ogni volta che escono notizie su fallimenti e aste deserte l’attività della nostra Fondazione ne risente in negativo, influenzando le collaborazioni in atto con Università ed enti per valorizzare l’archivio con 5.000 progetti di mio padre".

Mario Gradara