Reggio Emilia, 15 novembre 2011 - Manca un mese alla storica sentenza del processo Eternit di Torino. Fuori dal tribunale e in tutta Italia, famiglie, amici e anziani operai malati attendo il verdetto. La multinazionale dell’amianto, secondo l’indagine del pubblico ministero Raffaelle Guariniello, ha causato la morte di circa tremila persone.
Un tumore, il mesotelioma maligno, dal quale non c’è scampo. Uno stabilimento dell’Eternit è stato attivo anche a Rubiera, dagli anni ‘60, almeno 50 operai sono morti di tumore. Il recente documentario reggiano «244, Il numero dell’amianto», a cura del gruppo ‘ReggioINchieste’, disponibile sul sito del Carlino, ripercorre la storia del minerale sul nostro territorio. Perché a Reggio c’è il tasso regionale più elevato d’incidenza del mesotelioma? Perché siamo arrivati a 244 morti accertati dal ‘93 a oggi?
Siamo andati a parlarne con il dottor Antonio Romanelli, responsabile del registro mesoteliomi regionale. «Nella nostra provincia si muore di più per il mesotelioma che per infortuni sul lavoro — spiega Romanelli — dal 1993 ad oggi si contano 244 casi di mesotelioma, più del 90% dei malati è deceduto».
Il tasso di incidenza maschile è pari a 3,9 per 100mila abitanti, quello femminile a 1,6. Il più alto in regione. A morire non sono solo i lavoratori delle vecchie fabbriche ma anche i familiari, gli amici e gente che indirettamente è stata a contatto con amianto. Nel processo di Torino, contro i dirigenti della multinazionale Eternit, il barone belga Jean Marie Ghislain De Cartier De Marchienne oggi novantenne e il miliardario svizzero Stefan Schmidheiny, 65 anni, sono rappresentati anche una quarantina di persone legate all’Eternit di Rubiera.
«Gli operai lavoravano in mezzo alle polveri d’amianto — spiega il legale delle parti civili reggiane, l’avvocato Ernesto D’Andrea — non venivano rispettate le norme per la sicurezza sul lavoro. La multinazionale cercava di minimizzare la portata degli effetti negativi dell’amianto. Dietro l’Eternit c’erano grandi interessi economici».
Per capire come si lavorava a Rubiera abbiamo intervistato Ezio Fantinati, 83 anni. È modenese ed è stato operaio per un anno all’Eternit, nel 1961. «Ho problemi alle vie respiratorie — racconta Fantinati — mi hanno dovuto operare per permettermi di respirare. Non avevamo protezioni e inalavamo le polveri. I vestiti, che la sera si riempivano di amianto, ce li portavamo a casa, mia moglie li doveva lavare. Gli scarti d’amianto venivano gettati vicino alla ferrovia nel retro. Dopo un anno sono scappato dalla fabbrica». Fantinati si è costituito parte civile al processo di Torino, sul suo comodino c’è un’intera farmacia di pillole e spray.
Oggi un’altra questione sono gli abbandoni abusivi. «Il problema c’è quando chi smantella l’amianto, soprattutto le onduline, vuole abbattere i costi di lavoro — spiega Massimo Becchi, presidente Legambiente Reggio — sono i privati che smaltiscono il materiale nelle carreggiate oppure le ditte autorizzate alla bonifica che fanno grossi sconti ai cittadini sui lavori, anche del 50%, ma poi non smaltiscono l’amianto in modo corretto. Ogni anno riceviamo 200 segnalazioni di rifiuti abbandonati, un 15-20% presenta eternit». Dietro alle bonifiche troppo facili spesso c’è anche l’ombra del lavoro nero. «Ci siamo trovati davanti a situazioni assurde — ricorda Becchi — tra Cadelbosco e Roncocesi abbiamo visto immigrati sui tetti che con un piede di porco staccavano l’eternit e lo buttavano di sotto. Questo vi fa capire quanto lavoro in nero c’è in questo settore. Qualcuno ci sta facendo i soldi, sfruttando l’ignoranza altrui».
Il documentario mostra anche i depositi abusivi che ogni settimana vengono scoperti dalle Guardie giurate ecologiche volontarie, le telecamere documentano lo stato delle lastre di eternit nei capannoni delle ex officine reggiane. A Reggio, vista la portata della problematica è nato il Comitato osservazione rischio amianto (Cora).
Ogni anno, nella nostra provincia, si riscontrano circa 15 casi di mesotelioma, il picco dei morti sarà nei prossimi 8-10 anni, perché il tumore ha un periodo di incubazione che può raggiungere i 40 anni. Questa strage si sarebbe potuta evitare? Perché le istituzioni non hanno agito tempestivamente? «244- Il numero dell’amianto» cerca di rispondere a queste domande mentre i familiari delle vittime attendono la storica sentenza del processo Eternit.
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