{{IMG_SX}}Rubiera, 6 febbraio 2009 - Si è concluso con una condanna, un patteggiamento e un’assoluzione il processo a carico dei tre imputati di omicidio colposo per la terribile morte sul lavoro di un clandestino marocchino alle Acciaierie di Rubiera il 9 agosto 2006. Mohamed Belafkih, 36 anni, appena impiegato dalla società Edil Ricrea, al suo primo giorno di lavoro nelle acciaierie in quel periodo chiuse per ferie, aveva perso la vita rimanendo incastrato in un macchinario.
Ieri il giudice dell’udienza preliminare, Andrea Santucci, ha decretato il patteggiamento di Mario Avanzini, 54 anni, di Modena, legale rappresentante di Edil Ricrea, società che opera nell’edilizia e che aveva ottenuto in appalto lavori di manutenzione alle Acciaierie di Rubiera: la pena, sospesa, è di un anno e due mesi, concordata dal difensore, l’avvocato Nicola Termanini, con il pm Luca Guerzoni che ha coordinato l’inchiesta. Condanna a sei mesi, sostituita con una pena pecuniaria, per l’ingegner Francesco Mazza, 56 anni, di Modena, responsabile del reparto di colata continua delle acciaierie, il luogo dove avvenne il tragico infortunio: per lui, rito abbreviato con sconto di un terzo (era difeso dall’avvocato Luca Pastorelli).
E’ stato infine assolto, per non aver commesso il fatto, Franco Testi, 80 anni, di Pavullo, amministratore unico delle Acciaierie di Rubiera. Testi, difeso dall’avvocato Massimo Jasonni, ha fornito la prova di curare solo la parte amministrativa e gestionale dell’impresa, di essere responsabile di cinque aziende e di aver affidato la cura della sicurezza in ogni reparto "a persone molto competenti». «Non era al corrente del difetto della macchina", ha spiegato il suo legale al giudice.
I familiari della vittima, che abitano in Marocco, sono stati risarciti e non si sono costituiti parte civile. La vittima era appena giunta in Italia, sbarcata al porto di La Spezia dopo un lungo viaggio in nave. Venne impiegato "in prova" dalla Edil Ricrea, il cui legale rappresentante - fino a quel momento mai un problema con la giustizia - è stato accusato di non aver informato il lavoratore sui rischi di quel macchinario. Un macchinario che, così ha accertato dopo il terribile fatto l’Ausl, aveva un difetto anche se fino a quel momento non c’erano stati mai incidenti: i pistoni idraulici, per l’enorme peso della benna, cedevano lentamente.
Fu così che il marocchino, entrato nella macchina per il lavoro di manutenzione, non si accorse del difetto e rimase incastrato al suo interno morendo schiacciato. Nessuno si accorse di quello che stava accaadendo: altri operai lavoravano in zone diverse. Accorsero sentendo le urla ma non ci fu nulla da fare. Passò diverso tempo prima che alla vittima fosse dato un nome.
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