Che notte quella notte. Un gol ‘alla Dybala’ che stese Buffon, Juve (già piegata nel primo tempo dal vantaggio di Cruz) apparentemente al tappeto, il labiale galeotto di Guidolin in panchina contro la città e infine la rimonta bianconera nei minuti di recupero per mano di Zambrotta e Camoranesi. Una beffa sul filo che negli anni non ha però scalfito la brillantezza di quella perla firmata da Tomas Locatelli la notte del 13 aprile 2003, quando al Dall’Ara Bologna e Juventus pareggiarono per 2-2.
Locatelli, il 22 il campionato rossoblù riparte da un altro Bologna-Juve in notturna.
"Impossibile da decifrare. Di solito le prime gare della stagione, perché di nuova stagione si tratta, presentano mille incognite e si prestano a tutti i risultati".
Se ripensa al suo Bologna-Juve invece...
"Vedo Buffon che è qualche metro fuori dalla porta, Amoroso mi serve un pallone coi giri contati e la mia forza è quella di colpirlo di prima, con un sinistro a giro che scavalca il portiere sul secondo palo".
Se diciamo un gol alla Dybala sbagliamo?
"Dai, l’accostamento lo accetto (ride, ndr). Ma si può dire anche un gol alla Locatelli: ne ho fatti pochi (47 in 17 anni di carriera, di cui 18 nelle 5 stagioni al Bologna, ndr), ma tutti buoni".
Il destino però ha voluto che il ‘città di m...’ che scappò a Guidolin dopo il 2-0 abbia un po’ oscurato il suo capolavoro.
"Sì e no. Sì, perché in quei giorni si parlò più del suo sfogo che del mio gol. No, perché a tanti anni di distanza i tifosi si ricordano della mia prodezza proprio perché accadde la notte in cui al mister uscirono quelle parole".
Bologna-Juve in un Dall’Ara per pochi intimi: 300 in tutto.
"Fa tristezza, ma è l’unico modo in cui il calcio poteva ripartire. Per me poi la tristezza è doppia, perché ho sempre giocato a calcio per divertirmi e divertire chi veniva allo stadio. Ma deve andare così. E va già bene, perché sembra davvero che questo virus stia perdendo di intensità".
Dalle sue parti, nella Bergamasca, ha picchiato duro.
"Io sono di Almenno San Salvatore, un paesino della Valle Imagna. E’ proprio nelle valli che abbiamo contato più morti: gente che non si aspettava di essere travolta da quest’onda".
Là chi è rimasto della famiglia?
"Mia madre, mia sorella. E tanti ricordi. Ogni mattina mi alzavo alle cinque e mezza per andare a scuola a Bergamo e da lì in pullmino a Zingonia per allenarmi nelle giovanili dell’Atalanta. Rientravo a casa alle nove e mi toccava studiare. Questo per i due anni in cui ho provato da geometra: un massacro".