Reggio Emilia, 6 novembre 2024 – Con il fiato sospeso davanti agli exit – poll, sperando in una svolta epocale, una Presidente degli Stati Uniti che non è arrivata, c'era Veronica Costanza Ward, editorial contributor africamericana cresciuta fra il suo Paese d'origine e Reggio, dove ha frequentato l'amato liceo classico. Laureata alla Bocconi con un master in Corporate Finance, Veronica scrive per tante testate e proprio due settimane fa ha tenuto un intervento sulle strategie di comunicazione di Kamala Harris nel corso di Management in cultura, arte e comunicazione del suo ex ateneo. A proposito di voti, Veronica è stata chiamata a esprimere il suo fra i giornalisti internazionali ammessi ai Golden Globe.
“Sono metà italiana (mamma Maria Grazia Filippini, figlia di costruttori edili, è di Reggio) e metà afroamericana (papà Goldman Ward Jr, reduce del Vietnam, è di Chicago, originario dell’Arkansas). Ho entrambe le cittadinanze e mi sento proprio a metà di tutto”. Ha vissuto la maggior parte della vita in Italia, sempre andando negli Stati Uniti, “dove non è detto che non mi trasferisca quando Trump sarà definitivamente fuori dai giochi!”, ammette. E oggi, mentre scriviamo, per la prima volta due donne afroamericane hanno conquistato due seggi al Senato.
Dove e come ha trascorso l'Election–Day?
"A casa qui a Reggio Emilia, ho seguito la diretta facendo zapping da diversi canali, Cnn, Cnbs, Al Jazeera, Usa Today e i social di giornali. Ho seguito fino a tarda notte, quando ho capito che la situazione non mi piaceva. E infatti”.
Si aspettava la vittoria di Trump, e così netta?
“La vittoria di Trump era prevedibile, come lo era quella della Harris, davvero questa volta era tutto in ballo, devo ammettere però che nel profondo temevo una sorpresa come questa. L’America è un paese estremamente complesso e imprevedibile dal punto di vista sociale, politico e anche come sistema elettorale”.
Da donna, emancipata, libera, afroamericana e con doppio passaporto americano/italiano, quali speranze riponeva in Kamala Harris?
"Sono un’orgogliosa donna Italo-afroamericana, sì. Speravo in un'elezione che, almeno nella percezione, potesse essere un evento storico e un altro passo in avanti nel processo di progresso sociale degli US: una donna, di origini afro-asiatiche alla guida della più grande potenza del mondo. Significava molto, come ha significato molto l’elezione di Obama, anche se sappiamo se nei fatti non ha cambiato in modo definitivo il cuore del paese e il corso della politica degli Stati Uniti”.
Questa nuova elezione di Trump lo conferma
"Non nutrivo una passione per Kamala Harris, ma ho apprezzato la sua veloce e brillante discesa in campo. Non avevo dubbi sul suo impegno nella lotta per i diritti delle donne, mi riferisco alla libertà di aborto e la lotta contro la violenza di genere, come non avrei avuto dubbi sulla capacità di mettere in piedi una riforma della sanità e una forte spinta economica per la classe media. Ho sempre temuto però la sua posizione sulla politica internazionale, sul conflitto israeliano-palestinese, sulle sue dichiarazioni di sostegno a Netanyahu, sul sostegno all’Ucraina”.
E da reggiana acquisita, con parte del cuore negli Stati Uniti, come si sente oggi?
"Mi sento abbattuta come americana, molto abbattuta. Gli Stati Uniti, criticati e sbeffeggiati, sono un grande e meraviglioso Paese, con tanti pregi, unicità e libertà, e ancora una volta lo dimostra la scelta di Trump presidente. Un antidemocratico votato democraticamente (almeno voglio sperare). Come reggiana e italiana mi sento ancora al sicuro anche se l’Italia stessa sta affrontando nuove e importanti sfide democratiche. Reggio Emilia, anche, sta affrontando un periodo difficile, soprattutto nella gestione di una nuova città in particolare per il centro storico, importantissimo nell’economia reggiana (come di molte altre città di medie dimensioni dell’Emilia) così come nel benessere della cittadinanza. Sono pronta a entrare nel dibattito! E' ora di fare qualcosa”.
Era la candidata giusta per i dem, secondo lei?
“Poteva esserlo, ha curriculum e fisique du role ma le manca la forza di un candidato con esperienza. Se avesse riproposto in modo credibile, e da subito, certe sue posizioni considerate estremiste, su immigrazione, politiche ambientali, armi da fuoco, forse avrebbe avuto qualche chance in più. Ha fatto una campagna rumorosa ma ripetitiva e non centralissima. Ha creduto che gli americani tenessero più ai diritti che al proprio orticello. Un‘ingenuità strategica, a mio avviso”.
Che cosa ha determinato la sconfitta di Harris?
"Non sono un’analista, ma da americana e da giornalista attenta ai cambiamenti del proprio Paese e ai suoi umori, anche attraverso la mia famiglia e le tantissime amicizie, penso che la sconfitta sia iniziata con Biden e l’amministrazione democratica. La ritirata dall’Afghanistan del 2021, l'appoggio all’Ucraina, il sostegno a Israele e infine lo stato mentale e fisico di Biden, il suo trascinare la sua presidenza, nonostante all’interno del suo stesso partito chiedessero le sue dimissioni da mesi, ha dato un’immagine di debolezza e 'sconclusionatezza’ dei dem. L’entrata in corsa della Harris, vicepresidente, criticata, considerata un po’ invisibile, un po’ inutile, non ha risollevato le sorti del partito. Nonostante questo lei e la sua squadra hanno fatto un egregio lavoro dal punto di vista della comunicazione e del tam tam mediatico, hanno battuto ogni previsione, hanno raggiunto la Gen Z in modo molto efficace, hanno raccolto da piccole donazioni una cifra altissima, hanno avuto il sostegno di Hollywood e dei canali d’informazione. Non è bastato però, alla fine i discorsi ai rallies sono risultati deboli e il partito non è riuscito a risolvere i dubbi degli americani su una candidata che è passata in poco tempo da una posizione all’altra su immigrazione e armi da fuoco. Non è bastato il suo curriculum di prosecutor general della California, che secondo il suoi oppositori è solo la costruzione di una carriera improntata a definire se stessa, in una storia di cambiamenti di rotta a seconda del clima politico”. Le analisi dicono che Trump ha unito i grandi elettori al voto popolare. Alla fine i 19 grandi elettori della Pennsylvania, più importante degli Swing States, hanno votato per Trump. Come se lo spiega? Questo è un argomento complesso, per gli Swing States - Pennsylvania, Michigan, Nevada, Wisconsin, North Carolina, Georgia e Arizona – dove il risultato è meno prevedibile e la differenza di preferenze tra i partiti è più sottile. Per questi stati valgono diversi fattori, il successo delle amministrazioni locali degli ultimi anni, la situazione dell’occupazione, l’economia locale. La Pennsylvania, che è uno degli stati della Rust Belt quindi di orientamento democratico e che è stata decisiva nei risultati di queste elezioni, ha sofferto pesantemente della forte deindustrializzazione degli ultimi anni e gli operai che vogliono sentirsi rassicurati hanno sentito forte la voce di Donald Trump. Anche gli stati della famosa 'corsa all’oro' sperano nella nuova 'era dell’oro' promessa da Trump. La cosa preoccupante è anche che questa elezione ha decretato la vittoria dei repubblicani per il Senato, e pare anche per la Camera dei Deputati, e questa configurazione conferisce a Trump un enorme potere. L’aumento dei prezzi dati dalla politica di aumento dei dazi all’entrata, promessi da Trump, però costituirà un problema molto presto e il Presidente dovrà avere risposta e soluzione giuste, e anche l'assenza totale di una politica sanitaria che va promettendo da nove anni e che non ha mai spiegato. Elon Musk, come vede la sua presenza accanto al tycoon? L’'accoppiata Musk - Trump potrebbe essere comica e demenziale se non fosse che di fatto è effettivamente pericolosa, dalla retorica violenta di entrambi al legame del tycoon all’economia americana, per non parlare del controllo di alcuni media, il liberismo spinto, la spinta verso una deregulation totale, verso l’innovazione estrema a danno di molti settori industriali. La società civile (americana) è molto polarizzata, il partito repubblicano è completamente nelle mani di Trump e quindi anche di Musk. Trump è aggressivo, lo è anche Musk e come me molti americani sono spaventati dalla piega che potrebbe prendere la situazione nella società civile. Tra due anni, però, si andrà alle elezioni di mid – term. Un banco di prova che rimetterà tutto in discussione ? Questo sarà davvero il banco di prova forse definitivo (anche vista l’età di Trump). Credo che la sua politica economica non lo premierà, perché metterà ancora più in difficoltà l’industria americana, la sua politica doganale renderà costosissimo il prezzo del paniere americano. O i suoi stessi elettori si troveranno in difficoltà proprio dove pensavano di essere ‘salvati' e allora ci sarà spazio per un nuovo confronto. Il midterm darà il polso di come sta andando l’amministrazione Trump.