Reggio Emlia, 23 settembre 2023 – Ecco il discorso del presidente Giorgio Napolitano al teatro Municipale Valli di Reggio Emilia il 7 gennaio 2011, giorno di apertura delle Celebrazioni nazionali per il 150°dell'Unità d'Italia e la dedica autografa sull'Ambo d'Oro della città.
Un grazie per l’accoglienza e lo spettacolo che ci è stato offerto: un tripudio di tricolori, un tripudio di bandiere, un esempio di partecipazione popolare consapevole e festosa che ci conforta nella nostra convinzione e nel nostro sforzo perché ci dice quanto sia vivo, nelle nostre terre e tra le giovani generazioni, il senso della storia e dell’unità nazionale.
Non c’era perciò luogo più giusto, e non c’era giorno più giusto, che Reggio Emilia il 7 di
gennaio, per dare inizio alla fase più intensa e riccamente rappresentativa delle
celebrazioni del 150° dell’Unità d’Italia. Se c’è stata una memoria del nostro lungo
processo storico nazionale, che nei decenni dell’Italia repubblicana non si è mai omesso
di coltivare e celebrare, è stata precisamente quella della nascita del tricolore ; e ne va
dato merito a questa città, a questa popolazione e a quanti l’hanno via via
rappresentata.
Nel 2010 le celebrazioni del centocinquantenario hanno richiamato eventi fondamentali
del 1860, a cominciare dalla spedizione dei Mille, dall’impresa garibaldina per la
liberazione della Sicilia e del Mezzogiorno, che aprì la strada al compimento del moto
unitario.
Oggi - nel passare il testimone ai Sindaci di Roma e delle due prime capitali del Regno
unitario, che sono lieto di vedere tra noi e cordialmente saluto - si riparte dall’antefatto
di quel moto, dalle prime connotazioni politico-statuali che l’Italia aveva assunto nell’era
napoleonica, dalla scelta, 214 anni orsono, dell’ “iscrivere in un piccolo lembo del
territorio italiano - ha detto il professor Melloni - il tricolore come bandiera politica”.
Un secolo più tardi - egli ha ricordato - il Carducci avrebbe celebrato il primo tricolore
come bandiera “nazionale”; perché pre-esistente all’Unità.
Discorso che si riallaccia a quello più ampio, e ricorrente, sui fondamenti identitari comuni, segnatamente culturali, emersi attraverso un plurisecolare travaglio come propri della nazione italiana ben prima del suo tardivo costituirsi in Stato unitario.
Nella sua così bella prolusione, Alberto Melloni ci ha fatto rivivere la storia dei "tanti
tricolori” nell’Italia giacobina, fino all’affermarsi di quella che effettivamente divenne la
bandiera dell’Italia unita, dello Stato nazionale finalmente nato; e ha soprattutto
affrontato senza infingimenti i limiti che segnarono a lungo il riconoscimento del valore
comune di quel vessillo. Egli ha fatto anche la storia, direi, della delusione, dello
scontento, che accompagnò o ben presto seguì il compimento dell’Unità, la
proclamazione, nel 1861, del Regno d'Italia e che ha finito per riprodursi fino ai giorni
nostri.
Giuseppe Galasso, uno dei nostri storici più operosamente e puntualmente impegnati
nella riflessione sul centocinquantenario, ha ricordato come dopo il 1860 una parte delle
stesse forze risorgimentali “andò all’opposizione - mazziniani, garibaldini, repubblicani,
paleo socialisti”; e come la critica del Risorgimento abbia, in diverse fasi successive,
conosciuto significative espressioni. Anche oggi d’altronde non si chiede - nel celebrare il
centocinquantenario - una visione acritica del Risorgimento, una rappresentazione
idilliaca del moto unitario e tantomeno della costruzione dello Stato nazionale. Quel che
è giusto sollecitare è un approccio non sterilmente recriminatorio e sostanzialmente
distruttivo, è un approccio che ponga in piena luce il decisivo avanzamento storico che -
al di là di contraddizioni e perfino di storture da non tacere - la nascita dello Stato
nazionale unitario ha consentito all’Italia. La nascita del nostro Stato unitario e - come
ho detto di recente - la sua rinascita su basi democratiche, nel segno della Costituzione
repubblicana.
L’esperienza del fascismo e della lotta antifascista, della Resistenza in tutte le sue
manifestazioni, della grande riflessione e della straordinaria ricerca dell’intesa in sede di
Assemblea Costituente, portò al superamento di antiche antinomie e di guasti profondi,
condusse al recupero di ideali, valori, simboli comuni che erano stati piegati a logiche
aberranti dal nazionalismo e dal fascismo. L’idea di Nazione, l’amor di patria,
acquistarono o riacquistarono il loro fondamento di verità e il loro senso condiviso, così
come i principi di sovranità dello Stato laico e di libertà religiosa. Apparvero
definitivamente rimossi i motivi di separazione o estraneità rispetto al comune
risconoscersi in un ordinamento nazionale democratico: sia quelli di stampo
confessionale sia quelli di stampo rivoluzionario internazionalistico. Nello stesso tempo,
il più granitico argine a ogni reviviscenza nazionalistica, per la pace e la giustizia tra le
Nazioni, fu posto nell’articolo 11 della Costituzione e, nella pratica, con la nascita e lo
sviluppo dell’Europa comunitaria.
E non fu per caso che venne collocato all’articolo 12 il riferimento al tricolore italiano
come bandiera della Repubblica. Riferimento sobrio, essenziale, ma imprescindibile. I
Costituenti vollero farne - con quella collocazione nella Carta - una scelta non solo
simbolica ma di principio.
E dato che nessun gruppo politico ha mai chiesto che vengano sottoposti a revisione quei
“Principi fondamentali”; della nostra Costituzione, ciò dovrebbe significare che per tutti è
pacifico l’obbligo di rispettarli. Comportamenti dissonanti, con particolare riferimento
all’articolo sulla bandiera tricolore, non corrispondono alla fisionomia e ai doveri di forze
che abbiano ruoli di rappresentanza e di governo.
E più in generale, vorrei rivolgere un vivo incitamento a tutti i gruppi politici, di
maggioranza e di opposizione, a tutti coloro che hanno responsabilità nelle istituzioni
nazionali regionali e locali, perché nei prossimi mesi, al Sud e al Centro come al Nord, si
impegnino a fondo nelle iniziative per il centocinquantenario, così da renderne davvero
ampia e profonda la proiezione tra i cittadini, la partecipazione dei cittadini, in
rapporto ad una ricorrenza da tradurre in occasione di rafforzamento della comune
consapevolezza delle nostre responsabilità nazionali.
Sono convinto che ciò sia possibile anche perché c’è una persistenza della memoria del
Risorgimento e del moto nazionale unitario assai più diffusa, in tutte le regioni, di
quanto taluno mostri di ritenere. E a forze politiche che hanno un significativo ruolo di
rappresentanza democratica sul piano nazionale, e lo hanno in misura rilevante in una
parte del paese, vorrei dire che il ritrarsi, o il trattenere le istituzioni, dall’impegno per
il centocinquantenario - che è impegno a rafforzare le condizioni soggettive di
un’efficace guida del paese - non giova a nessuno. Non giova a rendere più persuasive,
potendo invece solo indebolirle, legittime istanze di riforma federalistica e di generale
rinnovamento dello Stato democratico.
Non ripeterò ora preoccupazioni su cui ho avuto modo di esprimermi ampiamente, per la
difficoltà e la durezza delle prove che attendono e già incalzano l’Italia in un delicato
contesto europeo e in un arduo confronto internazionale. Vorrei solo dire che la
premessa per affrontarle positivamente, mettendo a frutto tutte le risorse e le
potenzialità su cui possiamo contare, sta in una rinnovata coscienza del doversi cimentare come nazione unita, come Stato nazionale aperto a tutte le collaborazioni e a tutte le sfide ma non incline a riserve e ambiguità sulla propria ragion d’essere, e tanto
meno a impulsi disgregativi, che possono minare l’essenzialità delle sue funzioni, dei suoi
presidi e della sua coesione. E dunque, sia più che mai questo 7 gennaio 2011, la riflessione e la festa con cui oggi lo celebriamo a Reggio Emilia, pegno della nostra determinazione nel riaffermare, tutelare, rinsaldare l’unità nazionale, che fu la causa cui tanti italiani dedicarono il loro
impegno e la loro vita.