ALESSANDRA CODELUPPI
Cronaca

Uccise il padre, cercò di avvelenare la madre: Marco Eletti oggi lavora in biblioteca e fa teatro in carcere

Il 35enne è stato condannato a 24 anni e 2 mesi. Ora la donna lo va a trovare in cella ogni settimana e lui aiuta gli altri detenuti a scrivere istanze

Marco Eletti fra gli avvocati difensori Bucchi e Scarcella; a destra il pm Giannusa

Marco Eletti fra gli avvocati difensori Bucchi e Scarcella; a destra il pm Giannusa

Reggio Emilia, 10 agosto 2024 – Un legame fra madre e figlio più forte di tutto, anche di ciò che può apparire imperdonabile. Lui, il 35enne Marco Eletti, stordì la mamma Sabrina Guidetti, con bignè riempiti di benzodiazepine, facendole sfiorare la morte. E uccise a martellate Paolo Eletti, il 58enne che lo allevò e di cui portava il cognome, ma che, come emerso da un’indagine difensiva, non era suo padre biologico. Nonostante tutto, lei, la madre, non si è mai distaccata dal figlio: tuttora, ogni settimana, lo va a trovare in carcere, dimostrandogli un amore ogni oltre confine.

Se le responsabilità sono accertate – dapprima Marco le negò, ma poi le confessò nel processo con rito ordinario – c’è ancora mistero dietro il duplice gesto che, il 24 aprile 2021, sconvolse la famiglia che abitava in via Magnanini a San Martino.

Lui, Marco, faceva l’impiegato e conviveva con una ragazza a Reggio; aveva pubblicato romanzi thriller e di fantascienza ed era sfilato in tv come concorrente nella trasmissione ‘L’Eredità’. Una vita ordinaria, con qualche aspirazione di fama, che da quel giorno divenne molto simile alla trama intricata dei suoi libri.

Eletti è stato condannato sia in primo grado sia in Appello a 24 anni e 2 mesi, per l’omicidio del padre e il tentato omicidio della madre, con l’aggravante della premeditazione, ma resta ancora misterioso il movente.

Il pubblico ministero Piera Cristina Giannusa aveva ipotizzato la doppia vita dei genitori (il padre aveva una diversa identità di genere, la madre coltivava una relazione extraconiugale), la scoperta di non essere il figlio naturale di Eletti, le pressioni perché lui andasse ad abitare nella casa di San Martino o il suo desiderio di diventarne unico proprietario: ma non sono state trovate prove univoche a sostegno di un’ipotesi, per cui l’aggravante dei futili motivi è caduta.

Secondo la tesi difensiva, Marco voleva uccidere solo la madre. Dopo essersi tenuti in contatto attraverso le lettere, lei rivide il figlio per la prima volta in udienza preliminare, nell’aprile 2022. Nel processo, Guidetti disse ai giornalisti che riteneva il figlio innocente, per poi doversi ricredere all’udienza successiva, quando Marco confessò.

Intorno a quel ragazzo, a cui è stata riconosciuta “una fragilità emotiva causata dall’ambiente disfunzionale nel quale è vissuto”, si è stretta la famiglia: la mamma, seguita in questi anni difficili dall’avvocato Claudio Bassi, va a trovarlo ogni settimana, e anche altri parenti lo fanno. Per lei, Marco è sempre il figlio e tutto ciò che le resta di una vita di turbamenti.

Il 36enne, descritto dagli amici come “buono e generoso”, ora lavora in carcere: è impiegato nella biblioteca e, grazie alla sua abilità con la scrittura, aiuta gli altri detenuti a scrivere istanze; partecipa anche alle attività di teatro tenute dai volontari. Tra alti e bassi, cerca di trovare un equilibrio e di guardare avanti. Nelle motivazioni della sentenza di Appello, emessa in aprile, i giudici hanno confermato la premeditazione: “La difesa gioca con un equivoco di fondo – scrivono – laddove ritiene non premeditato l’omicidio del padre solo perché commesso con un mezzo diverso da quello programmato”.

Cioè il martello al posto dei bignè avvelenati con le benzodiazepine, che Paolo non mangiò. La difesa, affidata agli avvocati Domenico Noris Bucchi e Luigi Scarcella, ha già depositato il ricorso in Cassazione: “In verità, l’equivoco di fondo è ritenere, come hanno fatto entrambe le sentenze di merito, che l’omicidio del padre sia premeditato solo perché è avvenuto – commenta l’avvocato Bucchi –. Tant’è vero che la Corte d’Appello, per superare le obiezioni difensive, non aderisce all’ipotesi esclusiva della contaminazione dei pasticcini, come fatto dal primo giudice, bensì ipotizza l’utilizzo di altri cibi, che poi il padre non avrebbe comunque mangiato. Ma, come insegna la Cassazione, “la confutazione di alternative non può supplire alla radicale mancanza di prova positiva del fatto”.