LARA MARIA FERRARI
Cronaca

Tre giorni con Salvatore Trapani tra arte, shoah e nuove visioni

Il saggista presenta il suo libro oggi in città, domani a Gualtieri e giovedì a Castelnovo Monti

Tre giorni con Salvatore Trapani tra arte, shoah e nuove visioni

di Lara Maria Ferrari

Un premio e tre presentazioni fra città e provincia, per il libro "Di fronte alla Shoah. Arte fra testimonianza ed empatia" di Salvatore Trapani (Corsiero editore), giunto secondo al Premio Nabokov assegnato a Lecce il 19 marzo. Il comitato del Premio organizza per i finalisti un evento che si svolgerà a maggio, al Salone del Libro. Nel frattempo, Trapani si accinge a tre presentazioni del suo saggio, definito dal critico d’arte Tomaso Montanari "un libro bellissimo, intelligente e giusto". Questa settimana "Di fronte alla Shoah" sarà presentato a Reggio, oggi pomeriggio alle 18, in un dialogo fra l’autore e Alessandra Fontanesi alla Biblioteca delle Arti (piazza della Vittoria 5); quindi a Gualtieri, domani alle 20.45, con l’editore Andrea Casoli a Palazzo Bentivoglio, e infine a Castelnovo Monti giovedì 23 marzo, alle 21, al teatro Bismantova. Con un saggio dedicato a celebri artisti deportati nei lager e ad altri contemporanei — definiti empatici — Salvatore Trapani immette la memoria della Shoah lungo nuove strade, un discorso più profondo, che dalle Avanguardie del Novecento, passate per l’Olocausto, tocca straordinarie sensibilità dell’arte contemporanea in un percorso frastagliato ma in perfetta continuità. Anche le arti visive si attestano a strumento narrativo della memoria, con un occhio critico rivolto al presente, come fece l’Espressionismo. Da qui la denuncia dei meccanismi sociali che presto avrebbero portato alle dittature nazista e fascista. Trapani affronta la produzione di artisti nei campi di concentramento (Felix Nussbaum, Boris Taslitzky e Jean-Paul Laurens) e quella degli artisti delle generazioni successive (Aldo Sergio, Santiago Ydañez, Gabriele Arruzzo, Giorgio Ortona, Zbigniew Libera, Alan Schechner e Shimon Attie), per superare il diktat di Adorno "niente più poesia dopo Auschwitz" e condurre la memoria oltre i sopravvissuti.