Reggio Emilia, 10 giugno 2023 – "Sai cosa? Ho deciso di ritornare. Vengo lì e dirò che ho fatto tutto io. Nessun altro ha colpa. Figlio mio, cosa posso fare? Qui anche Kami (che sta per Ikram Ijaz, ndr) sono dietro di noi. Tutte le persone dicono sono molto preoccupato qui". È uno stralcio di un colloquio intercettato tra Shabbar Abbas, padre di Saman e il figlio, datato 14 giugno 2021. Della 18enne pakistana si erano perse le tracce ormai da un mese e mezzo, e solo nel novembre 2022 sarà ritrovata sepolta sotto terra: per il suo omicidio sono chiamati a rispondere nel rito ordinario, oltre al padre, la madre Nazia Shaheen, lo zio Danish Hasnain e i cugini Ikram Ijaz e Nomanulhaq Nomanulhaq. Nella prosecuzione del dialogo il fratello di Saman, costituito parte civile attraverso l’avvocato Valeria Miari, accenna a mire di un cugino di Novellara (non imputato, sarà sentito nella prossima udienza) su di lei: "Lui aveva baciato Saman e la cosa chiara, giuro su Allah, non ho detto alla polizia, stavo per dire, però la mamma mi aveva fermato". Più avanti Abbas pronuncia questa frase: "Tu devi dire che Danish e gli altri non hanno nessuna colpa. Era venuto a casa nostra verso tardi pomeriggio. Lui ha detto datemela che la porto e la ammazzo. In motorino era andato, tu devi dire così". In questa telefonata, letta ieri dal maresciallo Luca Pastore - in passato in servizio nel Norm dei carabinieri di Guastalla - il fratello di Saman tira in ballo il cugino e un fratellastro di Shabbar, non imputati: dalle parole del padre, sembrano emergere un’autoaccusa, e forse un possibile tentativo di indirizzare la versione del figlio, che poi fu sentito pochi giorni dopo, davanti al giudice, durante l’incidente probatorio volto a cristallizzare la sua versione.
Pochi giorni prima, il 6 giugno 2021, un uomo identificato dai carabinieri nel padre di Saman diceva al fratellastro parole che, una volta trapelate, sconvolsero l’opinione pubblica: "Io non ho nulla di più importante del mio onore... Ho lasciato mio figlio lì, ho anche ucciso mia figlia. Non mi importa di nessuno". Ma sull’identità di chi le pronunciò ieri si è aperta, a margine del processo, una discussione. Il maresciallo Pastore ha riferito che, per un problema tecnico, "ascoltavamo solo la voce dell’interlocutore e che non era possibile rilevare l’utenza". Ma lo ha identificato in Shabbar "dopo mesi di ascolto della sua voce": "Non abbiamo fatto perizie, ma posso a garantire che è lui". Rassicurazioni che, è emerso, non bastano alla difesa di Abbas: "A oggi non abbiamo la certezza che fosse lui", affermano gli avvocati Enrico Della Capanna e Simone Servillo. Di avviso opposto il difensore Liborio Cataliotti, per Hasnain: "La giurisprudenza riconosce che basta la ricognizione vocale". Sulla stessa lunghezza d’onda anche Barbara Iannuccelli, avvocato di parte civile di Ayub Saqib, fidanzato di Saman.
Appassionato il racconto di Michele Malorni, ispettore della polizia penitenziaria e protagonista di uno snodo essenziale della vicenda: fu lui a raccogliere in carcere da Hasnain la volontà di collaborare con la Procura e di portare gli inquirenti sul posto dove fu sepolta Saman. Dopo un primo interrogatorio, datato 3 novembre, "in cui lui non fece rivelazioni di rilievo investigativo", e un videocolloquio con la moglie del 16, "da cui uscì provato e mi chiese di rendere dichiarazioni spontanee", poi il 18 vi fu la trasferta decisiva, tenuta top secret, a Novellara: "Neppure gli agenti che ci accompagnavano sapevano dove stavamo andando e perché". Ma quando arrivò sul posto col detenuto accanto, "Danish mi bloccò per non farmi calpestare il luogo dov’era sepolta Saman: ebbi così prima conferma della sua sincerità". Lui non ha subito minacce, ma due detenuti sono stati trasferiti, uno negli ultimi giorni perché non accettava di convivere con lui.