Reggio Emilia, 10 ottobre 2024 – Aveva seminato il panico alla Rems di Reggio a fine agosto, colpendo a sprangate un medico e danneggiando i veicoli nel parcheggio prima di fuggire ed essere fermato con il taser dai carabinieri. E dopo essere finito in manette – con l’arresto convalidato per resistenza a pubblico ufficiale, danneggiamento aggravato e tentata rapina – nei giorni scorsi è stato ricollocato nella medesima struttura in cui aveva aggredito gli operatori sanitari.
Gli stessi che ora scrivono un’accorata lettera indirizzata ai vertici dell’Ausl di Reggio Emilia, per denunciare “un senso di ingiustizia” e dicono di “non comprendere quanto i fatti gravi accaduti possano non aver avuto conseguenza”. Nel frattempo il medico aggredito è stato trasferito.
Tutto era accaduto il 28 agosto scorso. L’uomo, un 29enne albanese, era detenuto alla Rems di Reggio Emilia (la residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza), perché ritenuto pericoloso: accusato in passato di stalking nei confronti del fratello e rapina, ma mai condannato e riconosciuto incapace di intendere e di volere.
Nell’udienza di convalida il gip Luca Ramponi aveva respinto la custodia cautelare in carcere richiesta dal pm Maria Rita Pantani, ma aveva disposto la sua permanenza in una residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza sul territorio nazionale, ma non a Reggio. Il 29enne, invece, in attesa della perizia psichiatrica disposta dal tribunale e del processo è tornato nello stesso luogo in cui soltanto poche settimane prima aveva aggredito i sanitari.
“Gli operatori delle Rems in questi giorni stanno vivendo un forte senso di inadeguatezza e stress correlato a ciò che il rientro del paziente D. sta creando a livello emotivo negli stessi e negli altri pazienti ospiti della struttura – si legge nella missiva –. Il clima fin da subito è stato più teso del solito e ha continuato ad esserlo nei giorni successivi. Il rientro del paziente ha sicuramente creato negli altri ospiti e negli operatori un senso di ingiustizia che ha portato i primi a non comprendere quanto i fatti gravi accaduti possano non aver avuto conseguenza, portando alcuni a vivere con timore la presenza del paziente, altri a utilizzare tale esperienza come replicabile pur di ottenere benefici non concessi”. E ancora: “Gli operatori, d’altra parte, non sentendosi tutelati e non vedendo risposte alle richieste di poter lavorare in maggiore sicurezza hanno sviluppato ansie e stress tali da non poter svolgere il proprio lavoro. Tale situazione ha creato dunque un ambiente lavorativo non funzionale al corretto svolgimento del mandato riabilitativo e terapeutico per i pazienti delle Rems, in primis per il paziente rientrato che trova un ambiente ostile (da parte della maggior parte dei pazienti) e intimorito e indignato, per il conseguente trasferimento del collega medico”.
Per tali ragioni, il comparto – come tra l’altro già ribadito dalle organizzazioni sindacali nelle settimane scorse – chiede delle soluzioni immediate a garantire la sicurezza sul proprio posto di lavoro. E vengono elencate le proposte: “ Guardia o personale addetto alla sicurezza che possa intervenire in caso di gravi escalation dei pazienti; immediata predisposizione degli ambienti di lavoro secondo le norme di sicurezza (farmacia, studi medici); la possibilità di creare un tavolo di incontro tra professionisti che porti alla modifica delle norme legate ai vuoti legislativi che a oggi rendono il lavoro presso tali strutture non sicuro e adeguato a far fronte alle gravi problematiche dei nostri pazienti, alla luce dell’ esperienze dall’ aperture delle diverse Rems in Italia”.
Chiedono anche di avere “procedure antiviolenza chiare e condivise” e “di poter aprire un dialogo con le istituzioni coinvolte in un’ottica di maggiore collaborazione e comprensione delle dinamiche interne alla struttura che necessitano il loro intervento”.
A tal proposito, concludono, “è necessario che questo dialogo riporti a soluzioni che pongano come centrale la necessità di figure presenti a livello istituzionale per assolvere al ruolo di custodia che non può e non deve essere assolta dai professionisti sanitari che devono invece assolvere esclusivamente al ruolo di cura”.