
Franco Gabrielli, prefetto e capo della polizia dal 2016 al 2021. Con Sala a Palazzo Marino fino a due mesi fa
"Mi preoccupano due cose: il mercato della paura e quello delle risposte semplici a problemi complessi, cioè il panpenalismo, il ‘buttiamo via la chiave’ e il ‘tutti a casa loro’. Nello stesso tempo se il cittadino pretende sicurezza dobbiamo dargliela accompagnandolo, e non parlare di percezioni". Franco Gabrielli, prefetto e capo della polizia dal 2016 al 2021, è stato ospite d’onore della Camera del lavoro per il convegno organizzato dall’associazione Polis Aperta – che ha compiuto 20 anni –, presieduta dalla reggiana Daisy Melli, e dal Silp Cgil, con la segretaria nazionale Michela Pascali: nella maratona di interventi, moderati dalla giornalista Alessandra Codeluppi del Carlino, si è spaziato dai problemi delle forze dell’ordine Lgbtqia a quelli dell’organizzazione della pubblica sicurezza e la risposta alla criminalità.
Gabrielli muove critiche al governo in carica, e al decreto Sicurezza, ma non solo. "Si hanno difficoltà a coordinare forze di polizia non effervescenti per organici? Si chiama l’Esercito: è più semplice e ha un ritorno immediato; vedere una camionetta ha un effetto di rassicurazione. Ma chi ha compiti di governo deve pensare anche ai costi-benefici". A Reggio l’arrivo dei militari che presidieranno le zone della stazione e del teatro Valli è atteso intorno a Pasqua. E poi: "Aumentare le pene e creare nuovi reati impatta sul sistema della giustizia e quello carcerario, portandolo al collasso". Gabrielli è critico anche verso l’opposto schieramento: "La sinistra si è disinteressata della sicurezza e l’ha appaltata ad altre parti: eppure è un bene comune di cui sono i più deboli ad avere bisogno". La questione si interseca con quella degli immigrati che vivono di espedienti: "Non si può attribuire colpe a ultimi arrivati che pure hanno certa impostazione, ci sono questioni che vengono da lontano. Il 50% dei detenuti nelle strutture minorili sono stranieri, una conseguenza del decreto Caivano. Finiscono su strada e in circuiti illegali, ma la risposta è di respiro corto: pena e carcere".
In vista c’è il referendum che riguarda anche la cittadinanza: "Sono convinto che chi nasce qui sia cittadino italiano: viviamo un inverno demografico e tanto più costruiremo percorsi per farli sentire comunità , tanto più creeremo futuro". Sull’immigrazione, Gabrielli distingue: "Nel 2019 si è fatto credere che grazie ai decreti sicurezza fossero arrivati in meno, ma è inesatto: accadde perché in India c’era la guerra. Nel 2023 il ministro era lo stesso capo di gabinetto del 2019: ne arrivarono 258mila, eppure Matteo Piantedosi è tutto tranne incapace. I ministri dell’Interno vengono croficifissi per gli sbarchi su cui hanno in realtà pochissima possibilità di interazione". Gabrielli dà una stoccata a sinistra: "Non bisogna accogliere tutti, è il contrario: vanno creati flussi leciti. Vi è stata una grande responsabilità dei governi di allora di aver usato la protezione umanitaria come unica modalità di accesso legale al nostro Paese: si sapeva che almeno l’80 erano migranti economici, li si metteva in un limbo di corsi e ricorsi e poi si ritrovavano marginalizzati". Dopo i saluti iniziali del questore Giuseppe Maggese, dell’ispettore di polizia locale Laura Bertolini e di Cristian Sesena, segretario provinciale Cgil, via agli interventi di Valeria Munari, avvocato di Arcigay e di Alain Parmentier, responsabile di Egpa, coordinamento europeo forze dell’ordine Lgbtqia.
La parola è andata all’assessore Marwa Mahmoud che si è soffermata sullo sportello antirazzista: "Voglio prendermi cura anche di chi vive un dissenso verso quest’azione politica. Reggio non è razzista, ma abbiamo un problema coi razzisti, con alcuni movimenti neofascisti e con un neocolonialismo strisciante, che significa anche considerarsi superiori a un altro solo perché arriva da un Paese diverso o ha una fede differente. C’è chi ci chiede aiuto perché si sente discriminato, altri si sentono in difficoltà per le rotture dei vetri alle auto. Sicurezza e coesione sociale devono stare insieme: riconoscendo diritti, le persone diventano meno a rischio di finire in sacche di marginalità e di illegalità; sono dunque azioni complementari".