Sembra proprio che sia il calcio professionistico a dover cambiare ed imparare. L’onnipotenza del Dio denaro (troppo nel mondo del pallone) ha mangiato ogni tipo di valore sociale. Mentre negli sport – quelli dagli stipendi meno ricchi – i sacrifici non sono solo sul campo o in palestra, ma anche sui libri. E ciò si traduce in più disciplina, più intelligenza nella vita e pure meno scandali (dal calcioscommesse ai casi di – presunti o meno – violenze sessuali). È quanto si evince dalla nostra inchiesta. Abbiamo preso in esame le interessanti parole del presidente della Reggiana Carmelo Salerno che – allargando il raggio, parlando del caso di Manolo Portanova (il calciatore granata condannato a 6 anni, in primo grado e in abbreviato, per stupro di gruppo) che spacca la città – ha lanciato una proposta alla Figc: "Si obblighino i calciatori a studiare per diventare esempi", ha detto, come si legge nella pagina del Carlino di ieri a fianco. Insomma, tradotto in maniera più diretta: i calciatori oggi non possono essere dei modelli per i giovani e non possiamo pretendere che lo siano. Proprio perché, avendo per la maggior parte trascurato gli studi, non hanno gli strumenti per avere dei valori ("Spesso i loro modelli sono tiktoker e youtuber", ha detto lo stesso Salerno) e soprattutto per gestire portafogli nonché la celebrità che spesso li divora.
Abbiamo dunque sottoposto questo tema di analisi sociale all’attenzione delle altre tre società sportive principali della nostra città (Pallacanestro Reggiana per il basket, i Diavoli per il rugby e il Volley Tricolore per la pallavolo). E ascoltando i dirigenti, si evince che da tempo – chi più, chi meno anche rispetto alle proprie possibilità – hanno progetti dedicati alla crescita sportiva unita agli studi scolastici. Sì, è vero, in gran parte è dettato dal fatto che gli stipendi di cestisti, ma soprattutto di pallavolisti e rugbisti, non siano quelli milionari dei calciatori. Però questi atleti vengono seguiti nei percorsi di laurea e anche di inserimento lavorativo una volta che finiscono la loro carriera agonistica. Perché anche il calcio non può fare questo? Perché non obbligare loro a seguire corsi di gestione del loro patrimonio nonché di utilizzo dei social network?