La Corte d’Assise presieduta da Cristina Beretti ha accolto in pieno l’eccezione sollevata nella scorsa udienza dalle difese dei cugini Nomanulhaq Nomanulhah, Ikram Ijaz e dello zio Danish Hasnain, secondo cui il fratello di Saman Abbas doveva essere indagato già dal maggio 2021. Il ragazzo, allora minorenne, fu sentito come persona informata sui fatti per tre volte, sebbene iscritto nel registro degli indagati dalla Procura dei minori in un altro fascicolo per violenza privata ("per avere concorso nel costringere Saman a rientrare in Pakistan"): procedimento che aveva "carattere connesso" a quello in cui lui era stato sentito. E si rimarca che la stessa Procura reggiana, quando chiese l’incidente probatorio, "segnalò al gip che lui era indagato per procedimento connesso". In queste tre occasioni, le prime due con la polizia giudiziaria e l’altra col pm, lui avrebbe dovuto avere l’assistenza di un avvocato difensore, "garanzia non rispettata". Da qui l’inutilizzabilità delle tre dichiarazioni e anche dell’incidente probatorio del 18 giugno 2021. La Corte rileva un’altra anomalia: "La Procura reggiana si riservò la trasmissione degli atti con le dichiarazioni del ragazzo che erano stati chiesti il 18 maggio 2021 da quella minorile, dicendo che erano coperti da segreto istruttorio. La Procura minorile li ebbe solo il 24 maggio, a seguito di delega d’indagine urgente conferita ai carabinieri di Guastalla". Poi il 15 giugno la Procura minorile chiese l’archiviazione per violenza privata, accolta dal gip minorile. Un provvedimento ritenuto "non idoneo a superare le criticità riscontrabili sulla mancata iscrizione del minorenne, da parte della competente Procura, per concorso in omicidio".
La Corte ha stigmatizzato i tempi usati dai magistrati di Bologna per decidere l’archiviazione: "Non può non evidenziarsi l’estrema celerità con cui si è ritenuto di definire la posizione del ragazzo, poco dopo più di due settimane dalla trasmissione degli atti relativi al procedimento principale". Il tribunale poi rileva "precisi indizi di reità" ricavabili dalle dichiarazioni al pm del 21 maggio, dall’incidente probatorio e dalle telefonate intercettate, in base a cui doveva essere iscritto come indagato. È lui stesso a riferire che, sebbene consapevole della premeditazione dell’omicidio, per lo scavo della fossa e per la riunione tra il padre, lo zio Hasnain e il cugino Arfan Amjad in cui si parlò di uccidere Saman, "mostrò nella sera del 30 aprile 2021 ai genitori le chat tra la ragazza e Ayub Saqib". Poi disse che Hasnain "gli suggerì di rimanere fuori dall’ottica delle telecamere": a conferma "che era stato edotto di ciò che stava per accadere". Oltre a contatti telefonici: "Alle 21.58 con Hasnain"; il giorno dopo, primo maggio 2021, con lo zio Zaman Fakhar, "ossia uno dei parenti da lui indicati come coloro che avevano forzato tantissimo per uccidere Saman", e con la zia inglese Shamza Batool che, "dopo aver chiamato inutilmente Hasnain, gli diede le dritte su cosa dovevano dire alle forze dell’ordine"; nonché intercettazioni col padre il 20 maggio 2021 proprio sul messaggio con Batool. I giudici precisano che "non si intende in alcun modo formulare addebiti a suo carico, ma garantirgli prerogative che gli sarebbero spettate dall’inizio".