ALESSANDRA CODELUPPI
Cronaca

Saman, oggi il processo: “Il racconto del fratello è credibile”

La relazione della psicologa: “Il ragazzo soffre di disturbo post traumatico, ma non è influenzabile”. Aveva accusato lo zio e i due cugini

Reggio Emilia, 14 luglio 2023 – “Il fratello di Saman non è influenzabile e il suo racconto è credibile” Così la psicologa Rita Rossi, chiamata come consulente di parte dall'avvocato di parte civile del fratello di Saman, ha sintetizzato la sua relazione sul ragazzo appena 18enne, nel corso del processo per l'omicidio di Saman Abbas, la 18enne pakistana trovata sepolta in un casolare a pochi passi dalla sua abitazione di Novellara: per la sua morte sono chiamati a rispondere i genitori Shabbar Abbas e Nazia Shaheen, lo zio Danish Hasnain e i cugini Ikram Ijaz e Nomanulhaq Nomanulhaq.

Approfondisci:

Processo Saman, parla lo zio Danish: “Il fidanzato non l’amava, l’ha solo usata”

Processo Saman, parla lo zio Danish: “Il fidanzato non l’amava, l’ha solo usata”
Saman Abbas e il padre Shabbar
Saman Abbas e il padre Shabbar

“Il fratello è credibile”

"Il ragazzo ha limiti cognitivi, è immaturo e ha una grossa sofferenza post traumautica a causa della perdita della sorella - ha proseguito la psicologa -. Aveva un legame profondissimo con Saman, anche se lui stesso la criticava. E adesso ha assunto l'identità della sorella per superarne la perdita: si fa chiamare ‘Rebel’, perché lei era ribelle, si è fatto tatuare il nome di Saman sulla pelle e vuole fare il suo stesso percorso scolastico. L'ha idealizzata”.

La consulente ha poi proseguito: "Nel raccontare della sera della scomparsa piange, trema, sta molto male: soffre di un disturbo post traumatico da stress e da elementi depressivi". Il giovane verrà ascoltato in aula come testimone dopo l'estate e il suo avvocato ha già anticipato che chiederà che avvenga durante un'audizione protetta.

Cosa aveva raccontato il fratellino di Saman

E’ un racconto drammatico quello messo agli atti: "Ho visto solo Danish Hasnain. Ha detto a mia mamma e mio papà: ‘Ci penso io, eh... voi andate via’. Poi ha dato lo zaino di mia sorella: ‘Mettete fuori tutte le cose, poi mette in un armadio dove non ti trovano carabinieri queste cose’. Poi mio papà ha portato a casa lo zaino". E ancora: “Ho visto Danish mettere una mano sulla bocca di Saman”. E il cugino Hasnain gli ha detto: ‘L’ho uccisa. Tua sorella è... Non dire ai carabinieri’”

La condanna dell’Ucoii

"La nostra religione condanna i matrimoni forzati e questo crimine, senza se e senza ma. Abbiamo anche emesso una fatwa, cioè un parere religioso, per dire che le nozze forzate non possono trovare spazio nell'Islam: non li accettiamo e non possono essere legittimati. Per sposarsi serve il consenso di lui e di lei, cosa che non c'è putroppo non c'è stata per Saman Abbas e che l'ha portata alla morte”. È quanto ha dichiarato stamattina ai giornalisti Yassine Lafram, presidente dell'Ucoii, l'Unione comunità islamiche italiane, sentito come testimone in aula. L'Ucoii si è costituita parte civile nel processo, assistita dall'avvocato Riziero Angeletti: stamattina il presidente Lafram ha detto che l'ente di culto svolge anche "un'attività quotidiana di risoluzione dei conflitti intergenerazionali, che esistono in tutte le famiglie al di là di cultura e religione di appartenenza”.

In che modo? “Cerchiamo di creare situazioni di confronto e di aiutare la prima generazione a capire la cultura di questo Paeze, che è anche la nostra cultura. Noi siamo cittadini italiani di fede islamica – ha scandito Lafram –. Quest'aspetto per noi è molto importante". Ha anche rivolto un appello riguardante il dibattimento in corso davanti alla Corte d'Assise: “In quest'aula del tribunale parlare di Islam come elemento alieno non porta a giustizia reale in questo processo. Mi auguro che non si veda l'elemento religioso come fattore di instabilità”.

E ha ricordato: "Dopo il caso Saman, abbiamo condannato questo fatto atroce con una fatwa, perché non vi fossero ambiguità sui matrimoni forzati, che per noi non sono validi. Ci siamo costituiti parte civile perché la nostra religione è stata strumentalizzata per giustificare questo crimine inaccettabile. La tutela dell'immagine dei musulmani è stata lesa anche per chi continua a speculare sulla cultura religiosa”. Ha parlato anche dell'impegno dell'Ucoii per aiutare le famiglie a gestire i conflitti intergenerazionali: “Attraverso gli imam mettiamo a disposizione centri di ascolto e ricorriamo a psicologi – ha spiegato Lafram –. Essendoci 2,5 milioni di presenze islamiche legate alle nostre comunità sosteniamo un costo importante'. Rispondendo a una domanda dell'avvocato Liborio Cataliotti, difensore di Hasnain, Lafram ha indicato quali sono i presupposti perché un matrimonio secondo il rito islamico sia valido. “Innanzitutto il consenso delle due parti, sposo e sposa - ha risposto Lafram - e non dei genitori. Poi la dote che il marito dà alla moglie, e non alla famiglia di lei. E i testimoni, perché le nozze siano un atto pubblico”.

Il presidente dell'Ucoii ha anche puntualizzato un altro interessante aspetto riguardante il rito islamico delle nozze: “Abbiamo chiesto di non procedere finché prima non ci sia l'atto civile in Comune, che garantisce i diritti giuridici che noi come comunità religiosa non siamo in grado di garantire. Poi noi diamo una sorta di benedizione che suggella il matrimonio sul piano religioso”.

Il Pakistan con l’Italia per l’estradizione del padre

Il Pakistan collabora con l’Italia per l’estradizione di Shabbar Abbas – il padre di Saman, accusato di aver ucciso con altri quattro familiari la 18enne a Novellara nella notte fra il 30 aprile e il 1° maggio 2021 – ma non c’è reciprocità da parte italiana rispetto alle richieste d’estradizione di "50 persone che hanno commesso omicidi in Pakistan".

L’ha affermato ieri l’ambasciatore pakistano Ali Javed in una replica al termine del Forum sulle libertà religiose che si è tenuto a Palazzo Chigi a Roma.

"Se c’è un crimine commesso come quello commesso da un padre in Italia, da un uomo pachistano, è un crimine e io condanno questo crimine in tutte le piattaforme che posso. Nessuno nel mio Paese sostiene un crimine del genere: noi amiamo le donne, noi le rispettiamo, noi non vogliamo ferirle, noi non le vogliamo uccidere", ha detto il diplomatico.

Leggi anche: Il dolore del fratello: “Voglio cambiare cognome”

"L’Italia vuole l’estradizione di quell’uomo, perché il crimine è stato commesso qui in Italia. Ma quell’uomo è fuggito in Pakistan. È mio dovere operare col governo italiano per l’estradizione. Non c’è un trattato d’estradizione, ma noi rispettiamo la nostra amicizia", ha assicurato Javed.

"Ma io – ha puntualizzato – posso fornirvi una lista di circa 50 persone ricercate dal Pakistan, che hanno commesso assassinii in Pakistan, e che sono scappati in Italia. Se voi chiedete con una mano dovreste essere in grado di dare con l’altra mano. È così che il mondo funziona".

Intanto, mentre si attende la decisione del governo pakistano proprio in merito all’estradizione di Shabbar (dopo il parere positivo del giudice arrivato proprio nei giorni scorsi) oggi riprende il processo per l’omicidio della giovane davanti alla Corte d’Assise del tribunale di Reggio Emilia.