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Saman, l’unica speranza ora sono i latitanti

Dopo lo stop alle ricerche l’attenzione si sposta sui genitori, lo zio e un cugino: una volta presi potrebbero confessare dove si trova il corpo

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"Stop alle ricerche". Il giorno atteso e temuto da tanti è arrivato. Da ieri infatti i carabinieri hanno sospeso le ricerche del corpo di Saman Abbas, la diciottenne pachistana di Novellara scomparsa la notte del 30 aprile. Sessantasette giorni: tanto sono durate le incessanti ricerche dei militari nei campi dell’azienda agricola Bartoli e dintorni, tra sterminate serre coltivate, porcilaie dismesse, canali d’irrigazione e pozzi d’acqua. Un epilogo amaro che però negli ultimi giorni in molti si aspettavano, soprattutto dopo l’infruttuoso tentativo messo in atto dai cani della polizia tedesca specializzati proprio nella ricerca dei corpi umani.

Ovviamente ciò che sperano ancora gli inquirenti è di poter catturare qualcuno dei latitanti (i genitori di Saman, lo zio e un cugino) per costringerli a svelare dove si trovi il corpo della ragazza. In una inquietante conversazione con una fidanzata, lo zio aveva anche detto "ho fatto un buon lavoro", facendo presumere che il corpo sia stato occultato in modo da non renderlo individuabile. Per tutti loro è stato spiccato un mandato di cattura internazionale e ora, se dovessero essere fermati in qualsiasi parte del mondo anche per un banale controllo, scatterebbe subito l’allarme e verrebbero tratti in arresto.

Non si può certo dire che si sia badato a spese durante questi due mesi. Nei 67 giorni di ricerche sono stati impiegati complessivamente 500 carabinieri, decine di unità cinofile da mezza Europa, personale eliportuale e la componente forestale dell’Arma. Un grande impegno c’è stato anche da parte dei vigili del fuoco con natanti e cinofili, così come dalla polizia provinciale. Persino due archeologi hanno voluto aiutare, studiando gli smottamenti del terreno e la topografia dell’area. Sono stati inoltre utilizzate strumentazioni specifiche d’altissima tecnologia come il geo scanner in alta definizione, gli elettro-magnetometri e svariati droni. Le ricerche sono state condotte anche attraverso l’analisi delle informazioni satellitari e delle telecamere presenti nella zona.

Ed è proprio da quegli occhi elettronici che è nato lo spunto investigativo per concentrare le ricerche nei campi dietro l’azienda agricola Bartoli. In una ripresa del 29 aprile si vedevano tre uomini, poi riconosciuti come lo zio e i due cugini di Saman, uscire alle 19,30 con in mano delle pale e un piede di porco, per tornare dopo quasi tre ore. Queste immagini secondo gli inquirenti dimostrerebbero il momento di preparazione del punto in cui seppellire la ragazza. Tuttavia, nonostante l’impegno costante dei carabinieri, nelle serre dietro casa non c’è traccia di una buca.

A sostegno dell’ipotesi dell’omicidio e dell’occultamento di cadavere rimane però la testimonianza chiave del fratello sedicenne di Saman, ora chiuso in una comunità protetta. Il ragazzo ha descritto le giornate di tensione precedenti a quella sera del 30 aprile dove le stesse telecamere riprendono Saman andare verso i campi con uno zainetto e non fare più ritorno: poco dopo è il padre Shabbar Abbas a rientrare con lo stesso zainetto.

"E’ stato lo zio a uccidere Saman", ha detto il ragazzo sentito dagli inquirenti come testimone, versione che poi ha nella sostanza confermato in aula, cercando di alleggerire la posizione dei genitori che secondo l’accusa avrebbero comunque orchestrato l’omicidio e consegnato la figlia al killer. Dalle chat del cellulare è poi emerso che sul ragazzo sono state fatte diverse pressioni da parte di due donne residenti in Francia e in Inghilterra perché non rivelasse nulla ai carabinieri. Il fratello di Saman tuttavia in queste settimane ha tentato più volte di fuggire dalla comunità protetta dove si trova.

Alessandra Codeluppi