Reggio Emilia, 14 giugno 2024 – La Procura ha impugnato in Appello la sentenza per l’omicidio di Saman Abbas, la 18enne pakistana uccisa il primo maggio 2021 e sepolta in una fossa dentro un rudere a pochi passi dalla sua casa di Novellara.
In primo grado la Corte d’Assise ha condannato i genitori Shabbar Abbas e Nazia Shaheen all’ergastolo, facendo cadere le aggravanti della premeditazione e dei motivi futili e abietti. Ha poi ritenuto responsabile dell’omicidio, e, lui solo, della soppressione del cadavere che fece ritrovare, lo zio Danish Hasnain: la pena è di 14 anni, con le attenuanti generiche e senza le aggravanti contestate. Sono stati invece assolti da tutte le accuse i due cugini Ikram Ijaz e Nomanulhaq Nomanulhaq. Un verdetto di cui ora la pubblica accusa chiede la riforma in secondo grado, domandando la condanna per tutti e cinque gli imputati, oltre al riconoscimento della premeditazione e dei futili motivi. Alì Haider, il fratello di Saman, costituito parte civile, viene ritenuto credibile e si chiede che sia inquadrato come testimone vulnerabile. Lui, nel corso del processo di primo grado, era invece stato sentito in aula, su disposizione del tribunale, in veste di testimone indagabile: i giudici evidenziarono indizi per i quali a loro dire doveva essere iscritto già dall’estate 2021 nel registro degli indagati, e dunque il ragazzo era stato sentito in aula con l’assistenza di un difensore. Si evidenzia anche un particolare finora inedito. Sulla giacca che indossava Saman nel momento della morte, vi era una scritta in inglese: Reckless club. Dont’ mess with me. Never think about consequences. Tradotto: "Club spericolato. Non scherzare con me. Mai pensare alle conseguenze". Si ribadisce il concetto che la giovane è stata uccisa perché troppo occidentale (nella sentenza si parla invece del fatto che i genitori non accettarono l’idea della sua ennesima fuga da casa per tornare insieme al fidanzato Ayub Saqib. E si sostiene che nel nostro ordinamento il concetto di delitto d’onore non può trovare spazio neppure per bocciare i motivi futili e abietti. Nazia Shaheen ha dato mercoledì nel tribunale di Islamabad il consenso per l’estradizione: il suo ok snellirà la procedura perché, a differenza del marito che si oppose, si potrà fare a meno del contradditorio. Entro un tempo relativamente breve, il magistrato titolare in Pakistan trasmetterà un parere al governo che poi deciderà sulla consegna all’Italia.