di Alessandra Codeluppi
Lui, Shabbar Abbas, è lontano oltre cinquemila chilometri, detenuto in carcere in Pakistan, ma il videocollegamento lo ‘riporta’ dopo due anni qui, nella nostra terra, da cui si allontanò in aereo con la moglie per tornare nel suo Paese natale. Lo si attendeva dal mese scorso, il padre di Saman, quando aveva fatto sapere che voleva partecipare in presenza al processo per l’omicidio della figlia, nel quale lui è imputato. Il suo volto compare sugli schermi allestiti in tribunale intorno alle 11.30: indossa una mascherina anti Covid, una camicia candida, con colletto alto, in stile orientale; è dentro a una stanza del carcere, bianchissima, da cui si intravede ogni tanto una guardia. Dopo le prove tecniche fatte al mattino, la presidente della Corte d’Assise Cristina Beretti annuncia che lui comparirà, ma serve ancora una pausa per cercare un traduttore che sappia l’italiano. Poi si parte davvero: il suo volto campeggia sullo schermo e arriva dal Pakistan la conferma che è proprio lui, il padre di Saman, la 18enne uccisa a Novellara. Beretti gli chiede se capisce la nostra lingua: lui risponde "poco". Il giudice appare sollevato, dopo il lungo iter burocratico con il Pakistan per garantire la sua presenza: "È stata dura – dice – ma ce l’abbiamo fatta". La parola va poi al maresciallo Cristian Gandolfi del nucleo investigativo dei carabinieri, teste del pm Laura Galli, ieri affiancata in mattinata dal procuratore capo Calogero Gaetano Paci. La sua deposizione viene spesso interrotta per permettere al traduttore di riferire ad Abbas: un rallentamento necessario, per il quale Beretti ha detto: "Ci vorrà un po’ di pazienza". Lo staff difensivo di Shabbar è intanto raddoppiato: all’avvocato Simone Servillo si è aggiunto il collega Enrico Della Capanna. Il maresciallo illustra alcuni aspetti-chiave dell’inchiesta, e si sofferma su momenti di sofferenza vissuti dalla figlia. Ad esempio la lunga chat tra Saman e il fidanzato Ayub Saqib, dal 20 al 30 aprile 2021. Lei scrisse: "Tutta la mia famiglia mi rende la vita un inferno".
Ieri l’imputato non ha mai preso la parola, ma non è escluso che lo faccia nelle prossime udienze. "Li convincerò a comprare telefono e una sim che voglio sia intestata a me, poi potremo parlare più liberamente", diceva Saman al fidanzato in Italia: "Sto cercando in continuazione i miei documenti, ho trovato quelli dei miei genitori ma non i miei". E ancora: "Scapperò di notte quando tutti dormono, in treno. Di giorno non posso fuggire. Dal 5 del mese prossimo andrò via. Sono triste e sola". Il carabiniere parla di messaggi vocali in cui si sente che lei piange. In una chiamata a un’utenza pakistana, Saman disse: "Ho litigato con Ijaz, lui ha chiesto a suo padre di interagire con il mio e di sposarmi". Nel cellulare di Saqib c’è una foto in cui Saman appare con una guancia rossa: "Sono stata schiaffeggiata". Quella percossa era stata riferita a un cugino residente a Novellara: le indagini hanno appurato che lui non era in casa. Saman era tranquilla: "Nessuno in famiglia pensa che io possa tornare a scappare". Da un incrocio tra l’orario della videosorveglianza e i tabulati, emerge poi che le telecamere dell’azienda "non riportavano l’orario reale, ma erano posticipate di 10 minuti". In mattinata erano presenti anche due classi dell’istituto Scaruffi, nell’ambito di un percorso per l’orientamento post diploma.