Reggio Emilia, 13 giugno 2021 - Non spiccica mezza parola di italiano; qualcosa capisce, ma l’interprete è necessario per tradurre l’unica lingua che comprende: l’urdu. Poco integrato, nessuna frequentazione esterna, un tipo cupo, una personalità difficile da permeare anche per gli investigatori. Pochi lì intorno, nelle sterminate campagne di Novellara, lo conoscevano. Sgobbava nei campi, ma per il resto un fantasma. E si dichiara estraneo alla sparizione della cugina Saman Abbas. E’ il ritratto enigmatico di Ikram Ijaz, il cugino 28enne della giovane pachistana scomparsa il 30 aprile scorso a Novellara arrestato in Francia e consegnato alle autorità italiane.
Tra i cinque indagati del clan familiare per l’omicidio della 18enne c’è anche lui. Venerdì, all’interrogatorio di garanzia, davanti alle domande del gip Luca Ramponi si è avvalso della facoltà di non rispondere. Silenzio. Per gli inquirenti sa tutto ma non parla. Anche in carcere in questi giorni è chiuso in sè stesso. Nessuna emozione. I suoi legali Domenico Noris Bucchi e Luigi Scarcella non si sono sbottonati più di tanto: "Ha rilasciato dichiarazioni spontanee, in cui ha ribadito di non avere nulla a che vedere con la sparizione della ragazza". Non solo: "Ha manifestato anche l’intenzione di rendere dichiarazioni più approfondite al pm nei prossimi giorni. Il tutto dopo un esame delle carte con noi".
Il riferimento è a giovedì, quando il 28enne è arrivato al carcere di Reggio. Sei ore trascorse con gli avvocati (e l’interprete) in cui si è proclamato innocente; sei ore anche per capire chi fossero i suoi interlocutori, lui che con l’Italia ha sempre avuto un rapporto complicato. Basti pensare che arrivato nel 2019 tra le campagne di Novellara, non si è mai esercitato con la lingua. D’altronde nell’azienda agricola Bartoli il tramite era Shabbar Abbas, il papà di Saman, da 15 anni nel nostro Paese. Per Ijaz la raccolta di cocomeri non richiedeva ulteriori sforzi di integrazione.
E comunque nei campi con lui c’erano anche gli altri due accusati dell’omicidio (assieme ai genitori di Saman), ovvero l’altro cugino, Nomanulhaq Nomanulhaq, classe 1987, e lo zio Danish Hasnain, 33enne ritenuto l’esecutore materiale del delitto. In questa vicenda però il 28enne è entrato dalla porta di ingresso. Il 29 aprile c’era lui in quel famoso video, proprio assieme allo zio e al cugino, con pale, sacchetti e piede di porco tra le campagne dell’azienda Bartoli. Non solo: il fratello 16enne di Saman ha riferito che, nella notte tra il 30 aprile e il primo maggio, quando la sorella cercò di allontanarsi da casa, intervervennero anche i due cugini in ausilio dello zio chiamato dal padre. E che qualche giorno prima li aveva visti aggirarsi - zio e cugini - nei pressi della sua casa con una pala in mano, con lo zio che allontanò il 16enne che voleva aiutarli.
"I due indagati (i cugini, ndr) - scrive il gip - non solo hanno cooperato nello scavo della fossa, ma hanno anche aiutato Hasnain nel bloccarla per poi ucciderla". E’ la ricostruzione della trappola mortale. Da lì in poi la storia è nota. Prima la fuga in Francia, con l’arresto a Nimes il 29 maggio, mentre stava tentando di raggiungere Barcellona a bordo di un autobus, dove probabilmente lo attendevano alcuni parenti che gli avrebbero offerto rifugio. Poi l’estradizione di giovedì: T-shirt e manette ai polsi mentre scendeva dal camioncino della penitenziaria francese, che lo ha affidato alla polizia italiana con destinazione carcere di Reggio.