Reggio Emilia, 31 luglio 2024 – “Voglio usare il mio locale per fare integrazione. È vero, magari i miei dipendenti non sapranno parlare subito bene l’italiano: la mia clientela si dovrà abituare”. Carlotta Bertolini, 47 anni e originaria di Albinea, è proprietaria della birreria Keller di Modena da 22 anni, tra la difficoltà di trovare personale e la voglia di lavorare dimostrata da chi in Italia ci è arrivato da poco, ha deciso di fare due più due.
Bertolini, com’è cambiato il mondo della ristorazione?
“Se parliamo di ruoli come cucina e lavapiatti, già vent’anni fa era difficile che un italiano volesse farli: ora è letteralmente impossibile. Negli ultimi anni in cucina ho avuto prima una ragazza dell’Est e poi una originaria del Burkina Faso. Entrambe bravissime, disponibili e puntuali: sono partite con un contratto di tre anni e poi sono passate a un indeterminato. Ma non è stato facile”.
A cosa si riferisce?
“Innanzitutto alle barriere linguistiche. Mi ero organizzata con delle foto dei piatti indicando sotto il nome dei prodotti, c’è voluto del tempo. Ma anche ora, c’è un ragazzo pakistano che si ferma a fine turno per imparare un po’ l’italiano insieme e la pronuncia (mostra un foglio con alcuni esempi di disegno affiancato allo spelling delle parole, ndr). Altre volte possono essere barriere culturali, o riguardanti la religione”
A colloquio non vengono mai degli italiani?
“Sì, ma la situazione è sempre peggio, a partire da come ti presenti: io capisco che sia importante sapere quanti soldi prenderai, ma non può essere la prima cosa che chiedi. Tra l’altro quasi mai chi lo chiede ha già esperienza in questo settore, perciò prima dimmi cosa sai fare e poi possiamo discutere dello stipendio”.
E dopo il colloquio, come va di solito?
“Le dico solo che nel 2023 ho avuto a bilancio 23mila euro di prove: ragazzi che cominciano, stanno due mesi e poi se ne vanno. Oppure sono io a interrompere, perché dopo dieci volte che fai lo stesso errore per me significa che non stai lavorando con cura, e allora non è il caso. Per la mia esperienza le persone immigrate in Italia hanno davvero voglia di lavorare, e questo fa la differenza”.
La farà anche per loro.
“Certo, finché non ci si mette la burocrazia e la lentezza del sistema d’accoglienza in Italia. Purtroppo sono di più quelli che rimangono in una sorta di bolla, senza potersi muovere e rimanendo, tra l’altro, una forza lavoro non valorizzata. Non mi stupisco che in tanti diventino dei delinquenti, io nei loro panni prima di morire di fame probabilmente farei lo stesso”.