di Daniele Petrone
"Il caso Eletti dimostra perché è urgente approvare il Ddl Zan...". Per Alberto Nicolini, presidente di Arcigay Gioconda di Reggio, la chiave è tutta qui riguardo ai nuovi risvolti investigativi sull’omicidio di San Martino in Rio.
Nicolini, cosa pensa di questa storia?
"Voglio premettere una cosa: non entro nel merito della questione giudiziaria e non parlo nello specifico dell’omicidio. Non sono un esperto e poi le indagini spettano alla magistratura. Non vi è nulla di certo ed è tutto ipotetico".
Diciamo però che se fossero fondati i sospetti degli inquirenti, si profilerebbe un omicidio di stampo ‘omofobo’...
"Certo che sì. Spostando l’attenzione a livello generale e non nella fattispecie, proprio per questo dico che serve la legge Zan. Ai politici che la osteggiano dico che nessuno è mai morto di ‘teoria gender’ come puntano il dito tanti di loro. Ma di discriminazioni e di omofobia, di vittime ce ne sono. E anche tante. Oggi la legge non tutela chi subisce aggressioni omofobe. Siamo al livello che conviene dichiarare di aver picchiato qualcuno perché è gay piuttosto che per razzismo. In quest’ultimo caso esiste l’aggravante per la legge Mancino. Nel primo invece, l’aggravante non c’è. Ecco, non vorrei mai che...".
Cosa?
"Sarebbe molto triste se si cercasse di usare l’omofobia come movente per un omicidio in un’ottica di strategia giudiziaria per ottenere magari il riconoscimento dei futili motivi...".
Lei dunque non crede alla tesi dell’omicidio a stampo omofobo?
"Ripeto, non sono io a dover indagare. Ma suona tutto strano. Chiedo: c’erano ‘persecuzioni’ nei confronti dell’uomo? Il figlio ha scoperto tutto all’improvviso? Le ricostruzioni dell’omicidio sembrano suggerire la premeditazione. E poi perché tentare di uccidere anche la madre se ce l’aveva col padre? Di due cose sono certo però. La prima è che si tratta di follia assoluta perché per quanto possa essere devastante la notizia che il proprio padre tradisca la propria madre, non si uccide. La seconda è che non cala di un millimetro l’orrore di quanto commesso. Così come non cambia la dignità della persona rispetto al perché e alla dinamica dell’omicidio".
Sul secondo profilo facebook scovato dagli investigatori, Paolo si definiva un ‘crossdresser’.
"Si tratta di una pratica più che un’identita di genere. I crossdresser sono persone a cui piace indossare vestiti dell’altro sesso. Nel caso dell’uomo, anche solo calze a rete da donna per esempio. Ma se anche fosse, nel caso di Eletti? Cosa cambia? Credo che la vita social di ognuno debba restare privata. Se andassimo a scandagliare i profili di tutti e lo narrassimo, vi sembrerebbe giusto? Non ci risulta frequentasse la comunità Lgbti. Ma magari quest’uomo voleva che tutto ciò restasse segreto o magari stava esplorando un lato della sua vita inedito di cui ha pienamente diritto. Ci vorrebbero più rispetto e meno morbosità".