
di Alessandra Codeluppi
Soldi e ricerca di auto blindate da Brescello a Cutro, al servizio della causa più importante per la cosca Grande Aracri: "Uccidere Antonio Dragone ed essere riconosciuti come famiglia di mafia". Il boss della ‘ndrangheta Dragone, che nel 1982 venne inviato in soggiorno obbligato a Montecavolo, fu ucciso il 10 maggio 2004 con raffiche di kalashnikov a Cutro, mentre viaggiava sulla propria macchina blindata: nel processo ‘Kyterion’ la Cassazione ha condannato all’ergastolo come mandanti Nicolino Grande Aracri, ex braccio destro di Dragone a cui succedette, dopo averlo eliminato, nell’egemonia mafiosa, e anche il fratello Ernesto.
Ma pure i parenti Grande Aracri di Brescello sapevano e avrebbero dato un contributo alla causa. È quanto racconta Giuseppe Liperoti, suocero di Antonio Grande Aracri (altro fratello di Nicolino), nel processo di ‘ndrangheta ‘Grimilde’ in ordinario, che vede tra gli imputati Francesco Grande Aracri. "Dall’aprile 2004 in poi Alfonso Diletto e Salvatore Grande Aracri (figlio di Francesco, 20 anni per mafia in abbreviato, primo grado, di ‘Grimilde’) scendevano a Cutro per portare sostegno economico e trovare auto blindate. Io partii per Brescello una settimana prima dell’omicidio Dragone: ci fu una discussione e io alla fine non feci parte del gruppo di fuoco. Quando incontrai Francesco Grande Aracri, nel capannone di Francesco Lerose per non farci vedere, mi chiese perché fossi salito al Nord: a suo avviso sarei dovuto rimanere giù per l’operazione Dragone. Diletto scendeva a Cutro e partecipava a tutte le riunioni per organizzare l’azione, e Francesco, tramite lui, era informato su tutto. Quando fu ucciso, quel giorno a Brescello tutta la famiglia andò al ristorante. Per noi la questione era risolta: così la famiglia Grande Aracri risultava comandare nel Crotonese".
Il pentito parla anche di viaggi a Cutro di Salvatore Grande Aracri e Diletto, "incaricati di comprare auto blindate": "Per una Bmw X5, poi non acquistata, venne a Scarazze a casa di Ernesto Grande Aracri anche il proprietario di Pescara: tra i presenti, c’erano anche Salvatore e Diletto, che avevano contatti anche con un venditore di blindate a Roma. Furono prese un’Alfa Romeo 166 in uso a Ernesto, una Bmw 540 in uso a Vito Martino, una Lancia Thema per Giovanni Abramo. La 166, cercata e mai trovata dalle forze dell’ordine, fu poi portata in una concessionaria della Bassa reggiana e venduta".
Liperoti racconta di essere andato nel 2004 anche da Antonio Muto, figlio di Benito, autotrasportatore di Gualtieri, in presenza di Salvatore Grande Aracri e Giuseppe Giglio: "Chiesi che inviassero giù i soldi dovuti per la protezione che noi offrivamo. Muto disse che aveva già sistemato con Salvatore, intermediario tra lui e la cosca. Ogni tanto Salvatore scendeva a Cutro per parlare di strategie, nuovi lavori e di come comportarsi con le altre famiglie".
Uscito dal carcere nel dicembre 2003, Liperoti testimonia come i Grande Aracri promuovessero il business: "Giù c’era la guerra, al Nord gli affari: discoteche, immobiliare e costruzioni. Muto mi disse come riteneva Salvatore ancora giovane e non del tutto inaffidabile e che preferiva relazionarsi col padre".
Altro episodio significativo: "Con la discoteca Italghisa collaborava un uomo di Milano che aveva ricevuto un prestito usurario di 50mila euro da Salvatore Grande Aracri. Ma, insieme ai suoi soci, era fallito, e Salvatore doveva recuperare la somma, che con gli interessi ammontava a 70mila euro, ma non ci riuscì".
Liperoti ricorda che quest’uomo "lavorava per il noto locale Hollywood di Milano". Così andarono nel capoluogo lombardo: "C’eravamo io, Salvatore, Diletto e Abramo. In ufficio malmenammo uno di loro e gli intimammo di pagare. Loro offrirono villette a Vigevano a Diletto, che spese 120mila ma si assicurò case nuove per un valore oltre il doppio".
Durante l’udienza di ieri è stato osservato un minuto di silenzio per la guerra in Ucraina.