Mentre l’intero Paese piombava nell’incubo pandemia e i dispositivi di protezione erano praticamente introvabili, le mascherine chirurgiche prodotte da quell’azienda veneta sembravano una manna dal cielo. Ne furono vendute in pochi mesi 4 milioni, per un ricavo di tre milioni di euro. Peccato però che, secondo le accuse, la mascherine non sarebbero state conformi alle normative in vigore per quel tipo di prodotti.
In particolare, stando a quanto ricostruito dalla guardia di finanza, i responsabili della società avrebbero tentato di far passare quei dispositivi come presidi medici quando in realtà non lo erano affatto. Nel frattempo, però, quelle mascherine erano state acquistate da clienti e pubbliche amministrazioni di mezzo Nord Italia: da Brescia a Padova passando per Venezia, Belluno, Lecco, una farmacia della Bassa Reggiana, il Comune e le Farmacie comunali di Ferrara. A quattro anni dallo scoppio dell’emergenza Covid, il ‘caso mascherine’ è approdato in un’aula di tribunale.
Le indagini delle fiamme gialle avevano infatti portato all’apertura di un procedimento penale per i reati di frode nell’esercizio del commercio e frode nelle pubbliche forniture. Imputati il legale rappresentante della ditta che produceva le mascherine, un veneziano di 63 anni, e la figlia e collaboratrice dell’uomo, una quarantenne anch’essa residente nel Veneziano.
La vicenda che li vede sotto accusa è giunta di recente davanti al gip di Venezia Claudia Maria Ardita, davanti al quale i due imputati hanno patteggiato la pena. Per entrambi sono stati quindi stabiliti cinque mesi e quindici giorni di reclusione più ottocento euro di multa (pena sospesa).
f.m.