ALESSANDRA CODELUPPI
Cronaca

Processo Saman, il fratello piange in aula: ho visto lo zio prenderla per il collo

Il ragazzo che ha appena compiuto 18 anni racconta gli ultimi istanti di vita della sorella: “Mia madre guardava. Non pensavo sarebbero arrivati a tanto”

Reggio Emilia, 31 ottobre 2023 – Piange in aula, il fratello di Saman, Alì Haider. Il suo racconto sulle pressioni ricevute dal padre, sulle conversazioni ascoltate in casa, sui rapporti con la sorella, trucidata per avere rifiutato il matrimonio combinato, viene interrotto dalla fatica di una ragazzo che ha appena compiuto 18 anni a rivivere ancora una storia così orribile. “Sto troppo male”, singhiozza in aula e spiega che i video proiettati in aula, durante l'udienza “mi fanno male, non li voglio vedere”. Ma poi prosegue. E ricorda: “Ho visto tutta la scena. Mia sorella camminava, mio zio l'ha presa dal collo e l'ha porta dietro alla serra”.

Lo zio Danish, Saman Abbas, e il padre Shabbar
Lo zio Danish, Saman Abbas, e il padre Shabbar

"Voglio parlare, voglio dire tutta la verità", ha detto in mattinata il ragazzo a cui è stato anche mostrato un video in cui Saman lo schiaffeggia davanti alla cascina di Novellara. Il giovane è coperto dai paraventi in quanto 'sotto protezione'. 

Alì Haider è entrato quando gli imputati non erano in aula. Una volta andato dietro il paravento, sono rientrati anche i 5 imputati: il padre, Shabbar Abbas, i cugini e lo zio Danish Hasnain.

Lo zio l’ha presa per il collo, la mamma guardava

Il fratellino della ragazza uccisa a 18 anni rivive gli ultimi momenti di vita della sorella che, la sera del 30 aprile 2021, torna nella casa di famiglia di Novellara. Lei rientra solo per avere i propri documenti, a quel punto viveva già in una comunità protetta. Ma in realtà a casa trova la trappola mortale. Il padre Shabbar, racconta Haider, lo minaccia, intimandogli di mostrare le chat tra lei e il fidanzato, che il sedicenne aveva registrato: “Mi disse: fammi vedere questi messaggi, se no ti appendo a testa in giù nelle serre”, riferisce in aula il giovane. “Io ho sempre paura di mio papà”, aggiunge. Poi Saman va in bagno e quando esce ci fu il litigio tra i familiari e la 18enne, che voleva andarsene. “Voleva fare la sua vita”, spiega al giudice il ragazzo. “Ma mentre lei era in bagno mio padre ha chiamato qualcuno, non so chi. Ho sentito qualcosa del tipo 'state attenti alle telecamere’”.

Poi aggiunge: “Ho visto tutta la scena. Io ero alla porta. Mia sorella camminava, mio zio l'ha presa dal collo e l'ha porta dietro alla serra. Ho visto i cugini, solo la faccia”.

La mamma cosa ha fatto? "Guardava”. Cosa guardava? “Tutto quello che è successo, mentre mio zio prendeva mia sorella guardava”. Solo quello? “Sì”. Poi, di fronte alle insistenze sul tema: “Non riesco a dirlo”, ha risposto il ragazzo. Il giudice allora ha concesso un'altra pausa.

E dopo? "Non ho chiesto cosa fosse successo, avevo provato tante volte ma mi dicevano di stare zitto. Loro sono convinti di aver fatto bene a fare quello che hanno fatto, anche adesso. Ed io non ho detto nulla perché avevo paura di fare la stessa fine”.

L’ho spiata, non pensavo finisse così

“I miei mi chiedevano di stare dietro a lei, di vedere cosa faceva, con chi scriveva”, racconta ancora il fratello di Saman rispondendo alle domande del presidente della Corte di assise Cristina Beretti e del difensore del cugino imputato, avvocato Luigi Scarcella. “Io vedevo con chi si scriveva e lo andavo a dire. Mi chiedevano con chi scriveva e io dicevo con Saqib (il fidanzato, ndr). Avevo sempre paura”.

E la sera del 30 aprile perché il padre chiese di mostrargli i messaggi? "Avevano organizzato tutto, volevano andare avanti, aspettare il momento giusto”, spiega . Il ragazzo ha detto di aver registrato i messaggi perché erano sul suo telefonino e Saman lo aveva usato e aveva dimenticato aperto un account social: “Io ho registrato perché me lo disse la mamma, mi ha detto 'registra tutto, poi ci pensiamo noi’. Il 30 aprile, alla sera, il padre gli disse “dammi il telefono”.

Avevi pensato, gli è stato chiesto, alle conseguenze del gesto? "Non avrei immaginato che loro facessero una roba del genere. Pensavo sarebbero rimaste solo parole”. Hai mai detto a qualcuno della minaccia del padre, di appenderlo per i piedi nelle serre? “No, non l'ho mai detto a nessuno. Avevo paura, di tutto”.

Le domande e i 'non ricordo'

Haider - in T-shirt nera e pantaloni grigi - alle domande dell'avvocato Luigi Scarcella, difensore del cugino imputato, Nomanhulaq Nomanhulaq ha risposto con una serie di "non ricordo" pronunciati in italiano. Haider: "Prima di partire per Imperia, non ricordo la data, Nomanulhaq mi disse che Saman era stata seppellita", ha dichiarato il ragazzo. Poi ha detto che era stato anche Hasnain. L'avvocato Scarcella lo incalza: "Perché non lo hai detto ai carabinieri il 15 maggio 2021?". E Haider: "Avevo paura di mio papà".

Poi il fratello di Saman ha ammesso di non ricordare se Shabbar gli avesse già imposto qualcosa. L'avvocato del cugino insiste: "Perché non lo hai detto al pm il 21 maggio 2021?". Haider specifica meglio: 'Non ho detto niente perché avevo paura di mio padre che mi aveva detto di non dire niente".

E ancora: “Mio padre mi disse di mettere in mezzo mio cugino A. e di raccontare al giudice della sua disponibilità a fare a pezzi Saman e a gettarne i resti a Guastalla nel fiume”.

"Ho sentito papà dire 'scavare'"

E ancora: "Poco prima della scomparsa di Saman - Haider non sa precisare data e momento del giorno - Nomanulhaq, papà, mamma, Danish e Ikram erano in camera. Mi mandarono giù a fare il the. Ho sceso le scale e a un certo punto mi sono fermato. Ho sentito mio papà dire la parola 'scavare'".

Haider non si ricorda se in casa ci fosse sua sorella Saman: "Non ricordo, sono un po' confuso - dice - Loro sono stati su almeno mezz'ora. Ho sentito le parole Scavare e passare dietro le telecamere".

Il video dello schiaffo di Saman

In un video mostrato in aula scorrono le immagini di telecamere di sorveglianza del 29 aprile 2021: si vede Saman che parla con il fratello nel cortile della casadi Novellara e la ragazza a un certo punto lo colpisce con uno schiaffo. Interpellato sul motivo del gesto dal difensore del cugino, il giovane ha risposto: "Avrò detto qualcosa per scherzare". Era capitato altre volte? "Sì per scherzare, quando litigavamo", ha aggiunto il giovane testimone.

Il ragazzo ha raccontato poi un episodio: "Un giorno mio papà era a lavorare, eravamo a casa io e Saman, io volevo vedere la tv, lei qualche serie. Litigammo come succede tra fratello e sorella. Io le presi i capelli e le feci male. Lei andò in bagno a piangere, poi si andò a lavare la faccia e dopo mio padre, appena tornato dal lavoro, vide gli occhi rossi e mi picchiò con calci e pugni". Quando avvenne tutto questo? "Prima che successe questo casino", ha detto il giovane pakistano.

I “consigli brutti” dei parenti

Il fratello di Saman ha parlato anche di altri due parenti, due figure già emerse negli atti dell'inchiesta e del processo e non imputate. Spiegando che questi due arrivavano nella casa di Novellara "a dare consigli brutti”, ai genitori, quando la sorella era in comunità e anche dopo, prima che venisse uccisa. “Facevano queste conversazioni, ma mi mandavano subito via”, ha detto parlando di uno zio e di un cugino.

Il nodo dell’iscrizione nel registro degli indagati

La Corte d'Assise in inizio di udienza chiesto di verificare se il fratello della ragazza, Alì Haider, sia già stato iscritto nel registro degli indagati dalla Procura dei minori di Bologna. Contattata la Procura dei minori, si è scoperto che a oggi Alì Haider non è iscritto nel registro degli indagati.

Uno scenario che nasce dagli sviluppi emersi dalla scorsa udienza e da quanto discusso stamattina in aula dalle parti e che porta verso un possibile ribaltone del ruolo del ragazzo, nel processo che vede imputati i genitori, i due cugini e lo zio.

Ricordiamo che l'ordinanza della Corte di assise reggiana aveva dichiarato inutilizzabili le dichiarazioni che il giovane aveva fatto tra maggio e giugno 2021 (perché, secondo i giudici, doveva essere iscritto nel registro degli indagati).