ALESSANDRA CODELUPPI
Cronaca

Pestarono un detenuto in carcere. Agenti della penitenziaria reintegrati

Sono stati riammessi al lavoro i dieci agenti imputati e processati: la sentenza escluse il reato di tortura. Non torneranno ora in servizio alla Pulce, ma saranno destinati in via provvisoria ad altre strutture.

Le immagini delle telecamere di videosorveglianza che immortalarono il pestaggio

Le immagini delle telecamere di videosorveglianza che immortalarono il pestaggio

Sono stati al momento riammessi al lavoro i dieci agenti della polizia penitenziaria imputati e processati per tortura aggravata nel carcere di Reggio, reato contestato dalla Procura che, al termine del processo di primo grado con rito abbreviato, è stato riformulato dal giudice Silvia Guareschi in abuso di autorità contro detenuti in concorso. I poliziotti non erano più operativi in via obbligatoria dal luglio 2023, in virtù delle norme sull’ordinamento del corpo di polizia penitenziaria, a seguito della misura cautelare interdittiva applicata dal gip Luca Ramponi che poi fu prolungata in via facoltativa. Al momento non torneranno in servizio alla Pulce, ma saranno destinati in via provvisoria ad altre strutture carcerarie del proprio distretto di competenza territoriale. Il decreto è stato notificato nel pomeriggio di giovedì: gli agenti vengono reinseriti mantenendo la stessa qualifica finora rivestita, e per loro la decorrenza giuridica ed economica del reintegro è scattata dal giorno stesso. Il fascicolo d’inchiesta, seguito dal pubblico ministero Maria Rita Pantani, riguarda le condotte tenute verso un44enne tunisino allora detenuto a Reggio, costituito parte civile attraverso l’avvocato Luca Sebastiani: gli accertamenti si erano basati sul video delle telecamere interne. Secondo la ricostruzione accusatoria, il detenuto uscì dalla stanza della direttrice del carcere dopo averla insultata per essere stato sanzionato per violazioni del regolamento. Fu incappucciato con una federa al collo e colpito con pugni mentre veniva spinto verso il reparto di isolamento. Quindi denudato e condotto nella cella; a volto scoperto, sarebbe stato preso a calci e pugni e lasciato nudo dalla cintola in giù.

Gli agenti devono rispondere anche di lesioni al 44enne – reato riqualificato nella sentenza in percosse aggravate – e di falso nelle relazioni. Il pm aveva chiesto 5 anni e 8 mesi per il viceispettore Luca Privitera, accusato di tutti e tre i reati; 5 anni per altri sette imputati per tortura e lesioni; 2 anni e 4 mesi per i due che dovevano rispondere solo di falso. Il giudice Guareschi ha deciso le condanne, tutte quante con pena sospesa per cinque anni e non menzione nel casellario. Per Privitera (avvocato Federico De Belvis), sono stati disposti 2 anni per i tre reati. Il gup ha poi deciso, per abuso di autorità e percosse, un anno, con la continuazione tra i reati, per gli assistenti capo Giovanni Mastinu (avvocato De Belvis) e Angelo Pio Latino (avvocato Nicola Tria), oltre all’agente Giovanni Navazio (avvocato Luigi Marinelli). Sempre per queste due accuse, per l’assistente capo Federico Lioce (avvocato Alessandro Conti) 6 mesi e 20 giorni; agli agenti Angelo Di Pasqua (avvocato Sinuhe Curcuraci) Giuseppe Valletta (avvocato Pier Francesco Rossi e Carlo De Stavola) e Umberto Esposito Marroccella (avvocato De Belvis) 4 mesi. Un anno, per il solo reato di falso del quale sono imputati, anche per l’assistente capo Andrea Affinito (avvocato De Belvis) e il viceispettore Giampietro Urso (avvocato Conti). Nei provvedimenti si fa riferimento al fatto che ora non si può fare una previsione sulla durata e sull’esito del procedimento penale, e neppure su un’eventuale conseguente misura disciplinare che potrà essere presa solo avuta la totale e definitiva conoscenza dei fatti accaduti anche sul piano deontologico. È stato ritenuto che al momento non vi siano i presupposti per proseguire la sospensione e che per tutelare interessi e immagine dell’amministrazione penitenziaria sia sufficiente una misura cautelare meno afflittiva. Nella decisione si fa riferimento ai criteri di proporzionalità, idoneità e necessità nell’applicare le misure cautelari, sanciti dalla Carta dei diritti dell’Unione Europea e dalla Cedu. Il provvedimento può essere impugnato davanti al Tar o facendo ricorso srraordinario alla presidenza della Repubblica rispettivamente entro 60 o 120 giorni.