di Alessandra Codeluppi
Nessun alleggerimento di pena. Nessun credito dato, a quanto pare, alla sua confessione e alla sua esternata volontà di collaborare con la giustizia.
La Corte d’assise d’Appello di Bologna ha confermato per Nicolino Sarcone la condanna a trent’anni per gli omicidi del 1992: le morti di Nicola Vasapollo a Pieve (21 settembre) e di Giuseppe Ruggiero a Brescello (22 ottobre). La sentenza ricalca quella in primo grado emessa l’8 ottobre 2018, quando il gup di Bologna Gianluca Petragnani Gelosi accolse la domanda avanzata per Sarcone dal pm della Dda Beatrice Ronchi.
Allora il pm chiese 12 anni per l’altro imputato che aveva scelto l’abbreviato, cioè il pentito Antonio Valerio: quest’ultimo, condannato a 8 anni, a differenza di Sarcone non è ricorso in Appello. Nicolino Sarcone, nato a Cutro 55 anni fa, abitava a Bibbiano, così come i fratelli Gianluigi e Carmine, mentre il quarto, Giuseppe Sarcone Grande, a Reggio: la famiglia è stata interessata da molteplici provvedimenti giudiziari per la sua stretta vicinanza al boss Nicolino Grande Aracri e sei mesi fa è stata destinataria di una confisca di beni da 13 milioni. Il primogenito Nicolino, braccio destro di Grande Aracri a Reggio, è stato condannato in abbreviato a 15 anni, la pena più alta, in ‘Aemilia’, confermati in Cassazione. Per l’omicidio di Brescello, Sarcone era accusato di aver trovato in Calabria e portato in Emilia tre divise dei carabinieri indossate dai killer mentre sparavano a Ruggiero. L’ex fidanzata calabrese, allora 17enne, ha raccontato ai poliziotti di aver fatto un viaggio in treno con lui da Crotone a Modena, con un borsone da consegnare a Nicolino Grande Aracri, contenente divise e pistole. Della morte di Vasapollo, Sarcone è un autore materiale: secondo la ricostruzione investigativa, insieme a un altro killer entrò nella casa di Pieve e lo freddarono. Sarcone mostrò la volontà di collaborare a fine 2017, nel corso di ‘Aemilia’, ma la Dda non gli credette, ritenendo che la sua fosse una mossa strategica della cosca per smontare i racconti del pentito vero, cioè Valerio, e depistare su altre vicende. Sugli omicidi del 1992, trapela che Sarcone aveva finito per confessarli entrambi, seppur contestando Valerio sul ruolo di altri. Invitato dalla Dda a essere sentito nel processo in ordinario per quattro imputati - concluso in primo grado con l’assoluzione per tutti tranne l’ergastolo per Nicolino Grande Aracri, ma solo per Brescello - Sarcone si era opposto. I suoi avvocati Carmine Curatolo e Sabrina Mannarino sono ricorsi in Appello sia adducendo uno sforamento dei tempi delle indagini preliminari, sia per chiedere di mitigare una pena ritenuta eccessiva, alla luce delle sue ammissioni. Il sostituto procuratore generale Lucia Musti ieri ha invece chiesto la conferma, sostenendo che la sua confessione servisse solo a godere di qualche sconto e che lui non si sia pentito, ma anzi voglia solo proteggere la propria famiglia. Sarcone, viceocollegato con Bologna dal carcere di Rebibbia dov’è detenuto in regime di carcere duro - e qui raggiunto dagli avvocati Curatolo e Mannarino - ha reso dichiarazioni spontanee, dicendo di aver raccontato la verità ma di non essere creduto. La difesa sarebbe orientata a ricorrere in Cassazione. Nei mesi scorsi, come riferito dal Carlino, Sarcone aveva presentato un ricorso per uscire dal 41 bis, in cui si rimarcava il suo cambio di rotta: nel frattempo il tribunale di Sorveglianza di Roma lo ha bocciato e ha riconfermato il carcere duro fino ai primi mesi del 2021, quando poi il Ministero dovrà decidere la proroga.