
Tragedia nel dicembre 2021: Said Abouennour, 49 anni, si spense dopo dopo dieci mesi di agonia. Alla sbarra il titolare dell’azienda del Villaggio Crostolo e l’installatore del tornio .
Rimase coinvolto in un terribile infortunio il 13 dicembre 2021, mentre lavorava su un grosso tornio nell’azienda Iotti in via Denti, nella zona del Villaggio Crostolo. Lui, Said Abouennour, 49 anni, arrivato in Italia da molto tempo, morì dopo dieci mesi di sofferenza: alternò periodi di coma ad altri di lucidità, fu trasferito dall’ospedale Santa Maria Nuova al San Sebastiano di Correggio, per poi venire a mancare il primo ottobre 2022. L’operaio, di origine marocchina, lasciò la moglie, un figlio che ora ha 10 anni, un fratello e la madre. Sulla sua tragica fine è in corso un processo con rito ordinario davanti al giudice Michela Caputo: il titolare dell’azienda, un 86enne, e l’amministratore 49enne di una seconda ditta, cioè l’installatore del tornio, sono accusati di omicidio colposo con la violazione delle norme per prevenire gli infortuni sul lavoro.
Secondo la ricostruzione della Procura, l’operaio stava lavorando a un tornio, "privo di protezione perimetrale", intento a produrre una scanalatura a stelo metallico su un manufatto lungo 10 metri, ovvero un tubo sostenuto da una fascia di sollevamento in tessuto trattenuta da un carroponte. L’uomo fu bloccato al braccio sinistro dalla fascia e dal manufatto e venne trascinato in rotazione. Il datore di lavoro è accusato di non avergli chiesto l’osservanza delle norme di sicurezza sull’uso del carroponte e di aver fornito ai lavoratori un tornio non conforme; l’altro di non essersi attenuto alle istruzioni del fabbricante mentre montava il macchinario. In tribunale hanno sfilato ieri i testimoni citati dal pubblico ministero Stefano Finocchiaro e dalla parte civile.
Dapprima i tecnici del servizio di prevenzione e sicurezza sul lavoro dell’Ausl, poi i colleghi che hanno rievocato quei momenti terribili. Uno ha raccontato di aver bloccato lui la macchina premendo un pulsante. E ha riferito che quel mezzo aveva problemi: "Said aveva già prodotto un pezzo uguale al mattino, stava facendo il secondo col metodo della fascia. Aveva difficoltà a far funzionare il tornio, si bloccava: in un anno vidi il macchinario in azione solo 4-5 volte".
È stato riportato che il titolare "era sempre presente, anche quel giorno". Si è dibattito sul mancato uso di lunette metalliche da posizionare per sorreggere il lungo manufatto, in alternativa alla fascia che necessitava di lubrificazione. La parola è poi andata a un addetto di una società terza delegata dall’azienda Iotti per i controlli interni sulla sicurezza. Ha riferito di aver rilevato allora diverse anomalie "sull’uso di protezioni rimosse o bypassate: alla ditta segnalai problemi e comportamenti pericolosi".
Le carenze riguardavano anche i torni, tra cui quello dell’infortunio: "In un verbale del 13 maggio 2021 scrissi che nella macchina 32 c’era la possibilità di contatto con parti in movimento: mancava uno schermo protettivo". Erano in aula la moglie 40enne Dizineb Chekairi, che abita a Reggio, e il fratello Khalid, costituiti parte civile, così come la madre, attraverso l’avvocato Massimo Covi: "Avrebbero dovuto esserci le lunette al posto della fascia e mancava un cancelletto per impedire all’operaio di avvicinarsi al pezzo in lavorazione – dichiara il legale –. E poi la ditta che installò il tornio non avrebbe dovuto rilasciare il collaudo senza quella barriera".
"Siamo distrutti, mio figlio sente la mancanza del papà", dice la vedova. Il fratello Khalid si sfoga: "Chiediamo giustizia, quell’azienda non era sicura. Mio fratello era esperto ma vogliono dargli la colpa". I parenti chiedono un risarcimento totale di un milione di euro. L’avvocato Roberto Stefano Redaelli difende l’installatore. L’avvocato Nino Giordano Ruffini, che difende il titolare, chiama in causa anche l’altro imputato: "L’infortunio avvenne in parte per responsabilità del lavoratore, che tenne una condotta anomala ed estranea alle sue mansioni; in parte a causa dell’installatore che ne autorizzò l’uso prima di fare il collaudo finale".